Handkerchief magazine: 5 studenti dell’Isia di Urbino hanno lanciato una rivista indipendente sull’omofobia

Un prof. che butta là l’input, che poi si rivela un fortissimo catalizzatore di energie, di interessi, di volontà. E un gruppo di studenti — Francesco Barbaro, Giulia Cordin, Giacomo Delfini, Alessandro Piacente e Lorenzo Toso, dell’Isia di Urbino — che cominciano a lavorare sulla ricerca e poi si ritrovano a costruirci sopra un intero magazine, dedicato a un tema attuale e sensibile qual è l’omofobia. E da un primo numero, impeccabile dal punto di vista della forma e pieno di stimoli, a livello di contenuti, capaci di scatenare lunghe discussioni, i ragazzi arrivano a progettarne un secondo poi un terzo, un quarto…

Il magazine si chiama Handkerchief (qui la pagina facebook) e a raccontarcelo c’è Giulia Cordin, una delle creatrici.

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Com’è nato il progetto e cosa vi ha spinto ad affrontare un tema “sensibile” e complesso come questo.

Siamo cinque studenti dell’Isia di Urbino al secondo anno del Biennio di Editoria, provenienti da cinque regioni diverse: Trentino, Veneto, Marche, Campania e Puglia. Ci era stato inizialmente proposto dal prof. Mauro Bubbico di fare un lavoro di ricerca sugli “arrusi delle Tremiti”, gli omosessuali confinati a S.Domino durante il Ventennio fascista.
Ricercando ci siamo resi conto che sarebbe stato importante riportare il tema anche sul piano odierno, cercando un taglio narrativo e contemporaneo, che sensibilizzasse sul tema dell’omofobia e provasse ad aprire un dibattito costruttivo sull’argomento.

Quindi da quel primo input avete iniziato a lavorare al magazine.

Sì, il primo numero è uscito il 17 maggio, in concomitanza con l’XI giornata contro transfobia ed omofobia. È stato stampato a Matera, grazie al sostegno di tipografi volontari. I prossimi numeri verranno stampati sempre grazie alla collaborazione di altri tipografi.
La prima uscita, che verte sul tema dell’Assenza, ha trattato il silenzio nell’omossessualità di John Cage e la vicenda degli omosessuali confinati alle Tremiti. Il secondo numero, in uscita la prossima settimana, parlerà del tema dell’attivismo e del manifestare la propria identità attraverso anche l’eccesso e le manifestazioni più colorate del fenomeno. Nello specifico abbiamo intervistato Geena, l’unica drag queen dell’Alto Adige, abbiamo raccontato la vicenda del movimento LGSM di Londra, gay e lesbiche a sostegno dei minatori in sciopero negli anni Ottanta e presentiamo il museo itinerante di Campuzano sui travestiti peruviani.

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Da dove arriva il nome?

Deriva dal Handky code, un sistema di comunicazione in uso nella comunità omossesuale in Europa ed America negli anni Settanta. A seconda del colore del fazzoletto indossato/ esposto si voleva trasmettere agli altri la propria disponibilità e preferenza sessuale. Allo stesso modo la testata della rivista riprende il codice del fazzoletto, anche in chiave cromatica. Il primo numero è stato stampato in nero + pantone arancione, che significa disponibile a tutto e niente.

Un vero peccato, visto il tema e il modo in cui l’avete affrontato, che le copie stampate siano poche. Meriterebbe di essere sfogliato e letto da molte più persone.

La rivista viene pubblicata in 300 copie ed è possibile leggerla sia in maniera tradizionale che attraverso affissione murale: proprio perché stampate in numero limitato, abbiamo cercato di fare in modo che ogni rivista diventasse una piccola mostra, consultata da più persone contemporaneamente in spazi espositivi pubblici e privati.
Per il momento ci siamo appoggiati ad associazioni culturali interessate al progetto in diverse città (Taranto, Trento, Bologna, Milano, Vicenza, Pesaro, Bruxelles..), ma stiamo cercando di ampliare il bacino di utenza, che ci piacerebbe fosse eterogeneo e non rivolto ad un pubblico già consapevole del fenomeno.

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State già pensando ai prossimi numeri?

Abbiamo ipotizzato che il terzo e quarto numero tratteranno rispettivamente della Spontaneità e dell’Esperienza, attraverso un numero interamente dedicato a racconti e contributi diretti.

Visto che avete già un altro numero in uscita e altri due che state progettando immagino che il magazine sia stato pensato per continuare l’attività anche fuori dall’università.

L’idea e l’intenzione sicuramente ci sono: abbiamo avuto un’ottima risposta dalle persone e dalle associazioni e il progetto ci interessa molto. L’incognita è principalmente di natura economica: dopo il quarto numero dovremo trovare un’associazione o una serie di associazioni interessate al progetto e a finanziarci. Oppure un sistema di crowdfounding… Ne stiamo parlando proprio in questi giorni e stiamo cercando contatti affinché la rivista non si estingua.

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A proposito di risposta da parte del pubblico: il 19 maggio scorso la rivista è stata presentata durante la conferenza “Il progetto utile” tenuta da don Ciotti e Nando dalla Chiesa.
Che hanno detto del progetto? E che feedback avete avuto dalle associazioni che finora vi hanno supportato?

A Dalla Chiesa e a Don Ciotti il progetto è stato proposto, insieme ad altri lavori sviluppati all’interno della scuola, in un discorso più ampio sulla grafica come strumento e attivatore sociale. Progetti che cercano di dare una risposta attuale e concreta a quelli che sono temi sociali sensibili oggi, come appunto quello dell’omofobia.
Siamo riusciti a Bologna ad entrare in contatto con l’associazione Le cose cambiano, una rete che cerca di presentare nelle scuole e ai giovani storie di coming out (il progetto è gemello alla versione americana). Sono stati molto contenti di ospitare nei loro spazi la nostra rivista, con la quale sentono una sensibilità affine ed un intento comune.
In questi giorni la rivista viene anche esposta nel cinema di Matera in concomitanza ad un ciclo di film contro l’omofobia. A Milano invece la rivista è consultabile presso lo spazio BK.
Anche alcune associazioni Arcigay hanno apprezzato il progetto e ci stanno aiutando nella distribuzione presso enti ed associazioni amiche, come a Trento e Taranto e l’associazione Maima di Vicenza.
Diciamo che per il momento i riscontri sono stati decisamente positivi e d’incentivo a proseguire sul percorso intrapreso.

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Parliamo dell’aspetto grafico: come avete lavorato? Che tipo di scelte avete fatto a livello di design, e perché?

La rivista è essenzialmente povera: due fogli macchina 50×70 (il poster è nascosto nella piega della copertina) e due colori. Come ti spiegavo prima il pantone da affiancare al nero viene scelto in base all’hanky code e quindi anticipa a livello visivo e cromatico il contenuto tematico seguendo il discorso del codice. Cerchiamo sempre di creare un forte impatto visivo che generi curiosità nel fruitore: il primo numero era arancio fluo, il prossimo sarà oro!
La rivista è di grande formato 35×25, in modo da poter anche valorizzare foto e illustrazioni. Le illustrazioni in quarta di copertina vengono commissionate agli studenti del biennio di illustrazione, sempre dell’Isia: gli si chiede di rendere visivamente il tema di ogni numero (assenza, eccesso…) e di rappresentare anche un fazzoletto nel disegno. Questo può anche essere nascosto e creare una sorta di gioco nella ricerca.
Per le foto invece cerchiamo di valorizzare il lavoro di fotografi, come il Collettivo Domino nel n°1 o la fotografa bolzanina Claudia Corrent nel n°2.

E chi ne volesse una copia?

La rivista è distribuita gratuitamente, almeno in questa prima fase! Chi ne vuole una copia ci scrive e gliela inviamo per posta o gliela portiamo a mano.

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