foto Smell Festival

Il Kōdō, l’arte di ascoltare le fragranze

A volte non serve spostarsi, può essere il mondo a venire a trovarti a casa e a regalarti esperienze straordinarie. È quello che mi è successo durante lo scorso fine settimana. Souhitsu Hachiya – XXI Maestro di Kōdō della Scuola Shino – è stato a Bologna in occasione della VI edizione dello SmellFestival e io ho potuto assistere alla sua lezione di sabato e alla cerimonia di domenica. In via del tutto eccezionale mi è stato consentito di registrare, fotografare e filmare. Perciò quello che segue è la spiegazione dell’antichissima arte del Kōdō attraverso le parole del maestro.

* * *

Immagino tutti qui in sala conosciate il Teatro Nō, “la via del tè”, l’Ikebana, ma pochi il Kōdō o “via della fragranza”, vero? Beh, è così anche in Giappone! Il Kōdō è la meno conosciuta delle arti codificate giapponesi, perfino dagli stessi giapponesi.

E anche io forse conosco questa disciplina perché sono nato nella mia famiglia, fossi nato altrove credo la ignorerei. Però è un aspetto meraviglioso della nostra cultura e mi piace contribuire a farlo conoscere.

Il 道 Dō, la via

Molte discipline tradizionali hanno come suffisso finale l’ideogramma 道 , che rappresenta “la via”, un percorso che una volta iniziato si prosegue per tutta la vita. Nel nostro caso, attraverso le fragranze, conduciamo una ricerca, che non è solo estetica ma anche spirituale.

foto Liz Trejo per Smell Festival
foto Liz Trejo per Smell Festival

“Per fumum”

Quella di bruciare legno è un’attività antica, il fumo della combustione sale verso il cielo e potremmo vedere questo gesto come un modo per ringraziare le divinità. Profumo del resto arriva dal latino “per fumum” e significa proprio “attraverso il fumo”. Le fragranze però sono usate da tempi molto più antichi, ci sono tracce anche nell’antico Egitto. Cleopatra è nota per questo. E anche i cinesi di 3-4000 anni fa ne facevano uso, ci sono reperti che lo dimostrano. Anche loro bruciavano incensi per profumare gli ambienti, ancora prima che in Giappone venisse codificato il Kōdō. E usavano anche incensi polverizzati nella loro medicina tradizionale.

Poi però in Cina per motivi storici e politici questa arte si è dispersa, mentre in Giappone, grazie alla codificazione ed al sistema dello Iemoto, ovvero il tramandare l’arte di padre in figlio, questa (e le altre) arti sono arrivate intatte, immutate fino ad oggi.

Del resto anche i Magi portarono oro, incenso e mirra. Da tutti questi doni, a parte dall’oro, si ricavano delle fragranze. È una costante delle grandi religioni usare fragranze, succede anche nell’Islam in cui si fa un grandissimo uso di incenso. E pure nel buddismo. L’incenso che oggi si usa nelle chiese cattoliche è una cosa diversa però dall’incenso e dalle fragranze che usiamo noi per il Kōdō.

La Storia delle fragranze in Giappone: le fonti

La prima volta che troviamo traccia in una fonte scritta, quella è del VI secolo, poi se ne trovano anche in una raccolta di cronache dell’VIII secolo. In questa si racconta che un tronco arrivò con una mareggiata su un’isola giapponese, fu raccolto dai pescatori sulla spiaggia, che lo bruciarono, e notarono che emanava un odore meraviglioso, così decisero di farne dono all’Imperatore.

foto Liz Trejo Smell Festival
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Genji monogatari

I nobili tra VIII e XII secolo usavano profumare i tessuti, i capelli e anche la carta su cui scrivevano. Lo testimonia il capolavoro della letteratura giapponese, il Genji monogatari, letteralmente “Il racconto di Genji” [n.d.r. recentemente edito in italiano da Einaudi], e scritto nell’XI secolo da Murasaki Shikibu, una dama di corte, che racconta la vita a corte nel periodo Heian.

In questo periodo la poesia, la raffinatezza, i linguaggi estetici diventano ragioni di stato, e l’incenso ha un ruolo importantissimo nel romanzo. Le dame a corte non si vedono quasi mai direttamente, perché sono nascoste dietro i paraventi, ma se ne intuisce la cultura, lo spessore intellettuale, la raffinatezza attraverso i profumi che emanano.

I guerrieri

Anche i guerrieri profumavano le proprie armature, per nascondere l’odore di sangue della battaglia, ma anche per ricordarsi che venivano dalla terra e sarebbero tornati alla terra e il profumo del legno gli rammentava questo concetto… Erano disposti a rischiare la vita in battaglia e tornare alla terra da dove provenivano.

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Buddismo Zen

Sempre in questo periodo, in Giappone, arriva la pratica del Buddismo Zen, che viene accolto dagli aristocratici e poi dai guerrieri di alto rango, e proprio in questo periodo, circa 550 anni fa, nasce il Kōdō “la via della fragranza”, che poi viene codificata, e prende una forma organica.

Corte di Kyoto

Kyoto era stata devastata per anni dagli scontri tra clan, e probabilmente, anche per far resuscitare l’antica capitale, lo Shōgun Ashikaga Yoshiakira raccoglie attorno a sé una corte di artisti esperti del Teatro No, della Cerimonia del Tè e anche del Kōdō.

È in quel momento storico, che dura circa un secolo e che va dal 1400 al 1500, che viene “codificata” la cultura tradizionale giapponese. Una serie straordinaria di linguaggi artistici diventano discipline, assumono il carattere di Dō (“via” “percorso”) e al loro linguaggio estetico si unisce un substrato etico (e filosofico — sono tutte permeate dalla filosofia zen) particolarmente importante. Il primo all’inizio del ‘400 fu il Teatro Nō, poi il Kōdō, l’Ikebana (anticamente detta Kadō), il Cha no yu ovvero la Cerimonia del tè (nota anche come Chadō o Sadō, “Via del tè”).

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Iemoto Seido

Da quel momento il sistema dei capi famiglia e cioè Iemoto Seido governa la trasmissione di questi saperi. Il fondatore del mio casato, il mio avo era l’esperto chiamato dallo Shōgun.

Periodo Edo

Questo è un momento ridente, felice e molto prospero per le arti, però è segnato anche dalla chiusura del Giappone ai commerci con l’estero. Per le altre arti la cosa non ha conseguenze visto che da sempre il tè è coltivato anche in Giappone, lo stesso per il teatro e per l’Ikebana — in Giappone certo non mancano i fiori — ma per il Kōdō, che utilizza legni provenienti dal sud est asiatico, la cosa avrebbe potuto essere tragica. Per fortuna il governo militare aveva concesso a Cinesi e Olandesi un porto franco, su un isolotto prospiciente il porto di Nagasaki, per poter continuare il commercio anche dei legni. E questo perché lo Shōgun a capo del casato Tokugawa era un appassionato di fragranze e ne praticava la via.

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Le scuole

In Giappone oggi ci sono circa un migliaio di scuole di Ikebana. Tante perché nell’arco dei secoli che sono passati dalla codifica, chi era entrato nella scuola non potendo poi diventarne capo, perché il posto viene di diritto passato al figlio dello Iemoto (del capo), ad un certo punto esce della scuola e ne fonda una propria diventando così lui stesso lo Iemoto della sua nuova scuola.

Ci sono circa 70 scuole (correnti) che insegnano la via del tè, ma solo due per il Kōdō, una è quella della mia casata. Tutte e due queste scuole hanno origini molto antiche, ma nell’arco dei secoli ne sono nate e morte altre, anzi a dire il vero recentemente ne ho trovato una terza navigando online e credo che abbia circa tre anni.

Oggi

La maggior parte dei Giapponesi non ha mai ascoltato le fragranze, mentre per esempio l’Ikebana e la Cerimonia del tè possono essere materie di studio nella scuola dell’obbligo. Il teatro, poi, anche se non si è andati di persona a vedere uno spettacolo, è facile averlo visto almeno una volta in tv.

Nel Kōdō però il materiale è certamente più costoso e raro. È vero, non serve la stessa quantità di materia prima di quanto tè serve per la Cerimonia del tè o di quanti fiori servono per l’Ikebana, ma certamente non è un costo affrontabile da tutti. Ma la ragione è anche un’altra e sta nel fatto che il Kōdō richiede una grande cultura letteraria sui classici giapponesi e il saper scrivere con il pennello… oltre che una grande spiritualità. Comunque oggi il 90% dei praticanti è donna.

Quella del Kōdō, come anche la cerimonia del tè, per i nobili e i guerrieri era un momento di vita ordinario, e se non erano in guerra, nel loro quotidiano, dedicavano tempo all’ascolto delle fragranze come anche alla cerimonia del tè. Per il puro piacere di goderne.

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La mia storia

Io sono il XXI discendente del primo Iemoto, colui che codificò il Kōdō alla corte di Kyoto, e sarò il XXI Iemoto del mio casato. Mio padre è l’attuale XX maestro. Dieci anni fa (a circa 26 anni) sono entrato in un tempio Zen e ci sono rimasto per un anno. Ero confuso. Dall’asilo, fino a quando sono entrato nel tempio, io ho sempre giocato a calcio e avrei voluto fare il calciatore professionista, volevo giocare nelle serie A italiana, magari nel Bologna, ero convinto di essere anche più bravo di Honda…[ride, n.d.r.]

Sono stato per molto tempo indeciso se proseguire la strada di mio padre e dei miei avi.
Sono stato sempre consapevole del mio casato, ma la responsabilità e il peso che avvertivo allora era più grave della consapevolezza di quanto sia importante quello che faccio per tramandare questo sapere. Il mio destino era segnato dal momento della nascita.

Nessun manuale

Chi conosce un po’ la cultura giapponese lo sa già, in Giappone il maestro non spiega nulla. Io resto sempre qualche passo dietro mio padre, osservando i suoi movimenti e cercando di fare meno errori possibili a mia volta.

Il fatto che io abbia detto che la disciplina del Kōdō è codificata non significa che esistono o siano mai esistiti manuali scritti. Certo la mia famiglia possiede documenti ed appunti, ma nessun manuale. I documenti che possediamo non servirebbero a nulla, non sarebbero di nessuna utilità a chi volesse imparare, se non avesse anche l’osservazione e l’imitazione della pratica del maestro.

A quanto pare per 550 anni la cosa ha funzionato. È come se attraverso l’osservazione dei movimenti di mio padre io riuscissi a colloquiare con tutti i miei avi e predecessori. Io sono la XXI generazione e tutt’ora rispetto quanto il mio avo ha codificato come ha fatto chiunque mi abbia preceduto, in tutti questi secoli.

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Scuola/famiglia

Una volta entrati nella scuola, si entra nella famiglia, i rapporti diventano parentali, una sorta di adozione e, a differenza di quanto avviene per le altre arti tradizionali, una volta entrati non si può più uscire. Questo per mantenere l’arte immutata. Recentemente ci sono francesi che sono entrati nella nostra famiglia/scuola, mi piacerebbe arrivassero anche degli italiani.

Discendenza

Mio padre è il XX Iemoto della mia famiglia e io sarò il XXI perché sono il primo maschio nato nella famiglia, anche se non è scritto da nessuna parte che Iemoto debba essere per forza un maschio, potrebbe essere anche una donna, e nella mia famiglia lo è stato il XVII Iemoto.

Comunque sono stato libero di scegliere e lo saranno anche i miei figli. Potranno fare i pianisti se lo vorranno, anche se spero che qualcuno porti avanti questa tradizione centenaria.

foto Smell Festival
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Benefici fisici della pratica

Nella medicina tradizionale cinese l’incenso è usato per curare. Mio nonno è vissuto molto a lungo, perché pare avesse goduto dei vantaggi di usare l’incenso per tutta la sua vita… Io non so se vivrò altrettanto, perché è vero che pratico il Kōdō, ma poi ho anche altre “passioni”. Ieri per esempio ho scoperto il prosecco e me ne sono innamorato, ne ho bevuto qualche bicchiere a cena ieri sera e altri cinque oggi a pranzo e credo proprio che quando uscirò da qui ne andrò a bere qualche altro! [ride, n.d.r.]

Le fragranze: il legno usato

Si usano da sempre due legni provenienti dal sud est asiatico. L’Agarwood, noto anche come Aloewood, che cresce principalmente in Vietnam, Cambogia, Myanmar e Laos. L’albero da giovane non ha nessun odore, ma lo acquista con gli anni (a volte sono necessarie centinaia di anni), quando colpito dall’azione dei batteri, secerne una resina scura e ricca che sedimentandosi acquista sfumature di odori/sapori. In Giappone è anche detto Jinkoh ovvero “legno profumato e pesante che affonda” perché la resina lo rende pesante fino a farlo affondare in acqua. E il Sandalo che cresce nel sud est asiatico fino in India; la sua cenere è bianca per questo in Giappone è noto come Byakudan ovvero “albero bianco e profumato”. Anche qui l’albero in sé è inodore, ma la fragranza sta all’interno nel tronco.

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Approvvigionamento

A scegliere la materia prima, i blocchi di resina profumata, provvede un commerciante e noi compriamo da lui. È un business ormai (addirittura c’è chi incide i tronchi perché l’azione dei batteri sia più veloce) ma noi ringraziamo comunque la natura per questo dono che ci concede. Queste fragranze sono 100% naturali, non come un vino che l’uomo ha pigiato l’uva e ha lavorato la terra, qui ha fatto tutto la natura, per cui dobbiamo essere molto grati.

L’anima

Noi crediamo che ogni essere vivente abbia un’anima, quindi anche le piante, i vegetali. L’anima non è un’esclusiva degli esseri viventi. Diamo il nome a ogni pezzo di incenso che useremo e ce ne sono alcuni a cui gli stessi imperatori, che nei secoli scorsi praticavano questa arte, hanno dato il nome.

Entriamo in dialogo con le fragranze mettendoci allo stesso livello, senza pensare che noi siamo uomini, e l’altra è una cosa, ma come esseri parimenti dotati di anima.

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Classifica delle fragranze

Come gli uomini sono tutti diversi, per natura, etnia, colore dei capelli, occhi e caratteristiche personali, e anche i gemelli siamesi non sono proprio identici, così anche i legni che usiamo, le fragranze sono diverse anche se della stessa specie e provenienti dalla stessa area geografica.

È il capo famiglia a fare la classifica e lo fa dividendole in 6 generi (per origine in base ai paesi di provenienza) e 5 sapori: dolce, piccante, acido, amaro, sapido.
Il capo famiglia ascoltando la fragranze in vari condizioni climatiche le classifica. In ogni blocco, si possono percepire due o tre sapori e ovviamente non è semplice né immediato riuscire a percepirli. Raro il blocco in cui si percepiscono tutti e 5.

Ascoltare la fragranza

Noi in giapponese per il Kōdō non diciamo “odoriamo” o “annusiamo” la fragranza — anche se è ovvio che il primo senso chiamato in causa è l’olfatto — ma diciamo “ascoltiamo la fragranza” perché questa attraverso il naso entra in noi, si mette in contatto con la nostra anima, e ci parla, entra in conversazione con noi. Un incontro di anime.
Allo stesso modo parliamo di sapori e non di odori delle fragranze.

foto Smell Festival
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La cerimonia: seduti Seiza

La tradizione prevede che si stia in Seiza, ovvero che ci si sieda sulle ginocchia, nella posizione formale, in circolo su un tatami in una stanza intima. Ormai però anche molti Giapponesi non sono in grado di tenere quella postura per molto tempo, per cui anche in Giappone si fanno cerimonie seduti sulle sedie.

Gli oggetti

La disposizione degli oggetti e della cenere sull’incensiere è influenzata dal Taoismo e quindi dal rapporto tra Yin e Yang. Nulla è casuale e nulla può essere spostato di un millimetro, tutto è stato fatto così da 550 anni!

C’è un vassoio con gli strumenti che servono per preparare l’incenso e “pettinare” la cenere, posta sul braciere; anche il modo con cui la si pettina, con un rastrello simile a quello dei giardini Zen, non è dettato dal caso e, credetemi, è molto più complicato di quanto si possa immaginare da una prima osservazione. Sulla cenere c’è una lastrina splendente, è di mica, prima si usava l’argento. Su questa lastra si poggia poi la fragranza.

foto Smell Festival
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I gesti

Dopo che il maestro prepara il braciere e l’incenso è pronto, lo si fa girare passandolo alla prima persona seduta sulla sinistra e questa, dopo averlo ascoltato, lo passa sempre a sinistra.

Lo si prende dalla parte frontale (in base a un ideogramma), ci si inchina per ringraziare la terra e la natura, si fanno fare tre giri in modo antiorario, poi, reggendo il baciare tra il pollice e le quattro dita della mano sinistra, si fa con la mano destra una specie di camino perché la fragranza arrivi al naso. Lo si avvicina al naso per tre volte e poi si allontana il capo per espirare tre volte. Una volta finito, girandolo, si riporta il braciere nella sua posizione di partenza. L’incontro con l’incenso è istantaneo, ogni momento è unico; dopo averlo passato non lo si può più avere indietro.

L’estetica

Anche i nodi che legano gli imballaggi dei vari strumenti sono stabiliti e sono decorativi, a forma di fiori, ma non si possono improvvisare. Come non si può improvvisare l’uso del fazzoletto per pulire il vassoio nella parte iniziale della cerimonia! [n.d.r. lo piega a triangolo e poi con un risvolto pare quasi voglia fare una barchetta come si fa da bimbi con le pagine del quaderno, e poi solo dopo pulisce il vassoio].

foto Liz Trejo per Smell Festival
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La poesia

Dopo aver ascoltato la fragranza si scrive una poesia in uno stile classico giapponese e si dà il nome alla fragranza. Il foglio con il nome e la poesia si conservano con il blocco e possono restare riposti anche per qualche centinaio di anni. Ce ne sono di molto famosi; uno, per esempio, si conserva da mille anni e solo tre persone hanno staccato un pezzo per ascoltarlo.

Le letture

Anche oggi durante la pratica si leggono brani dal Genji monogatari, o altre poesie, e si cerca di indovinare da dove sono stati estratti. La risposta al quesito viene scritta con il pennello, quindi i praticanti devono anche essere esperti in calligrafia.

Sottrazione

A parte il teatro Kabuki, le altre arti tradizionali giapponesi vivono di sottrazioni, sono per tradizione molto contenute e il Kōdō non fa eccezione. Non parlo solo dell’estetica e della gestualità, ma della fragranza. Una fragranza troppo accentuata non è considerata una cosa positiva.

foto Smell Festival
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La precisione rituale ed ossessiva è elevata ad arte. Ed emoziona. Anche un osservatore occidentale e pressapochista come la sottoscritta. I gesti sono eleganti, paiono una lentissima danza e lui a tratti sembra magico. L’energia attorno è fortissima.
Quella a cui ho assistito domenica pomeriggio era una versione breve (abbiamo ascoltato 3 fragranze, mentre normalmente se ne ascoltano molte di più), contaminata in qualche modo dalla curiosità, dallo stupore, dall’entusiasmo… di tutti noi presenti, ma è bastata per farmi venir voglia di approfondire.

Grazie a:
Souhitsu Hachiya — XXI Maestro di Kōdō della Scuola Shino — per avermi consentito di registrare e girare il video; Matteo Cesari di Nipponica per la sua introduzione; SmellFestival per aver portato il maestro in Italia e avermi invitato a partecipare; Nippon Kodo Europe per aver reso possibile l’esperienza
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