Disturbance: rappresentare visivamente i disturbi dell’aura emicranica

Rappresentare e raccontare qualcosa di sfuggente, complicato da categorizzare, quasi impossibile da far capire senza provarlo in prima persona, è una delle più grandi sfide che un designer possa affrontare.

Se poi quel “qualcosa di sfuggente” è una malattia, una di quelle che chi non ce l’ha non riesce nemmeno a immaginare come sia, cosa si provi, come s’innesti nella tua vita per cambiarla per sempre, allora la sfida diventa ancora più grande e metterebbe a dura prova anche il più navigato e blasonato dei professionisti.

Ma qua, alle prese con difficoltà come il raffigurare visioni e allucinazioni sonore, a “ritrarre” disturbi del linguaggio e distorsioni nella percezione del tempo, non è un designer con anni e anni di esperienza alle spalle. A vincere la sfida, mettendosi in gioco anche personalmente, è una giovane promessa del graphic design, Francesca Magliani, da poco diplomatasi all’Ecal di Losanna realizzando, come progetto di diploma, un libro che indaga un disturbo subdolo e tuttora relativamente misterioso come l’emicrania e l’aura che spesso la accompagna.

Quel progetto si chiama Disturbance, e me lo sono fatto raccontare direttamente da Francesca.


(courtesy: Francesca Magliani)

Questo progetto mi sta particolarmente a cuore. Ma il perché te lo spiego dopo.
Intanto ti chiedo di raccontarmi un po’ di te che, seppur giovanissima, hai già un portfolio di tutto rispetto.

Al momento vivo a Padova, dove lavoro come grafico freelance. A volte collaboro con la mia famiglia, soprattutto con mio fratello, che è fotografo come i miei genitori. Altre volte collaboro con il mio ragazzo, grafico anche lui.
Ma per raccontarti davvero di me, temo di dover tornare molto indietro nel tempo: mio nonno era notaio ma il suo grande sogno era sempre stato quello di occuparsi di grafica e illustrazione. Aveva allestito un piccolo laboratorio nella sua soffitta e, dopo l’asilo, andavo da lui. Passavamo i pomeriggi a disegnare, stampare, fare la carta e consumare grandi quantità di colore a tempera.

(courtesy: Francesca Magliani)

È stato lui quindi a darti la spinta iniziale. E dopo? Quand’è arrivata l’emicrania?

Dopo il liceo artistico ho frequentato il corso di Disegno Industriale allo IUAV, dove ho conosciuto delle persone fantastiche, grazie alle quali ho scoperto la mia passione, la grafica.
Concluso lo IUAV sono entrata all’Ecal di Losanna. Lì ho frequentato il bachelor di graphic design. È durante il secondo anno che l’emicrania è entrata prepotentemente a fare parte della mia vita.
L’Ecal è senz’altro una scuola che mette alla prova, nel bene e nel male. A questo di sono aggiunti una serie di eventi spiacevoli, che hanno contribuito a scatenare un attacco emicranico che è durato, senza interruzione, per circa 8 mesi. Avevo già una certa esperienza di mal di testa, ma certamente non avevo mai sperimentato una cosa del genere. È stata anche la prima volta che ho avuto a che fare con l’aura.

L’emicrania è una malattia molto sottovalutata da chi non ce l’ha. E chi ce l’ha tende a non parlarne molto, per paura di essere etichettato come “fallato”.
Te lo dico perché poco più di un anno fa avevo l’intenzione di fare una ricerca in proposito e allora ho scritto su Facebook chiedendo se qualcuno volesse condividere esperienze del genere.
In pubblico non ha scritto nessuno ma in privato lo hanno fatto a decine, raccontandomi il loro male. C’erano tantissime varianti, di storie e di sintomi.

Il mal di testa è un dolore strano, che quando colpisce interferisce con qualunque cosa, ti impedisce anche di pensare. È un dolore subdolo, perché nel momento in cui passa quasi dimentichi cosa provavi, ma quando ritorna ti sembra che sia sempre stato lì.
Ma soprattutto è un dolore che raramente crea empatia. Una gamba fasciata o una ferita è lì, la vedi, ma il mal di testa è invisibile. L’emicrania con aura poi è caratterizzata da tutti questi disturbi secondari che ricordano più un sogno, o un trip andato male, che una malattia.

(courtesy: Francesca Magliani)
(courtesy: Francesca Magliani)

Il tuo uscire allo scoperto, addirittura con un libro, l’ho trovato molto coraggioso.
Interessante sia a livello di progettazione grafica e di illustrazione, sia proprio per chi soffre di questa malattia e spesso lo confida a pochissime persone.
Quando hai deciso di mettere su carta la malattia? E perché?

L’ultimo semestre all’Ecal è interamente dedicato al progetto di diploma. E ovviamente sapevo già che il mio progetto sarebbe stato sull’emicrania.
Non volevo fare un lavoro autoreferenziale, volevo costruire uno strumento, un oggetto che potesse essere utile anche ad altri. Ho valutato molte strade, ma alla fine sono tornata al mio punto di partenza: l’edizione e l’illustrazione. I due media che amo di più. Il risultato finale è Disturbance.

Hai raccolto anche tu testimonianze esterne o hai lavorato solo a partire dalla tua percezione dell’emicrania?

Mi sono rivolta ad altri per farmi raccontare le loro storie. La maggior parte, come nel tuo caso, ha preferito l’anonimato.
Credo che questa necessità stia nella natura stessa dell’emicrania. L’emicrania infatti è una malattia della quale si conoscono solamente i sintomi, ma non le cause, perciò viene spesso definita come malattia psicosomatica.
Una persona con una malattia psicosomatica, generalmente viene facilmente etichettata come una persona fragile. I sintomi stessi poi contribuiscono a rafforzare questo senso di fragilità. Si diventa intolleranti alle luci o ai rumori. Si ha la sensazione di essere fatti di vetro e di potersi rompere da un momento all’altro.

(courtesy: Francesca Magliani)

Infatti molti di quelli che mi hanno raccontato le loro esperienze preferivano non rivelarlo pubblicamente, per paura di esser discriminate, soprattutto sul lavoro.

Chi ha un’influenza normalmente non si fa nessun problema ad ammettere la propria malattia. L’influenza l’ho presa per “colpa” del virus, non per “colpa” mia. L’emicrania invece viene spesso identificata con un’incapacità, da parte di chi ne soffre, di gestire bene lo stress o la propria sensibilità.
Un’altra caratteristica dell’emicrania è che, pur non essendo una malattia grave o pericolosa, fa paura.
Prima che iniziasse il dolore, la mia emicrania si è manifestata con svenimenti, vertigini e un’incredibile intolleranza ai suoni. Credevo di star impazzendo. Ero spaventata e i medici non mi davano risposte esaustive e soddisfacenti. Così uno dei motivi per cui ho sviluppato questo progetto è stato l’avere la possibilità di studiare l’emicrania. Ho letto diversi libri ed articoli, ma quello che mi ha colpita di più è stato senz’altro Emicrania di Oliver Sacks. Più leggevo e più mettevo assieme i pezzi. Ho iniziato a capire alcuni meccanismi, ma soprattutto, ho smesso di avere paura di quello che mi succedeva. Scoprire che quello che vedevo e sentivo non accadeva solo a me, ma era stato studiato, riconosciuto e catalogato ha avuto un effetto rassicurante, che mi ha aiutata ad alleviare il dolore.

(courtesy: Francesca Magliani)
(courtesy: Francesca Magliani)
(courtesy: Francesca Magliani)

Emicrania di Sacks l’ho letto anche io. E mi sono sorpreso di come mi abbia spiegato molto di più un libro, scritto da qualcuno lontano e di cui non avevo conoscenza diretta, rispetto a un medico che invece ti visita.

Il mio mal di testa c’è ancora, ma è meno frequente e meno intenso. Sono rimasti però i disturbi secondari, la cosiddetta aura.
L’aura emicranica, in parole povere, consiste in una serie di sintomi — visivi, olfattivi, tattili e uditivi — spesso caratterizzati da allucinazioni. Sono dei disturbi davvero affascinanti, perché sono personali e universali allo stesso tempo. Possono essere identificati e inseriti all’interno di categorie. Ma sono anche molto difficili da spiegare attraverso le parole.
Dico spesso che raccontare la propria emicrania è un po’ come raccontare un sogno. Chi ascolta può provare ad immaginarla, ma non potrà mai farne esperienza attraverso il proprio corpo. Ed è qui che l’illustrazione, ma anche il video o il suono, entrano in gioco. Questi strumenti permettono di spiegare in modo molto più efficace una cosa astratta come l’aura emicranica.

A proposito di aura: a me hanno diagnosticato l’aura senza emicrania attorno ai 17/18 anni e prescritto il Tavor, che però ho preso solo due volte per poi abbandonarlo perché mi faceva sentite una “persona a metà”.
Quindi ho iniziato a fare ricerca.
Solo recentemente, sempre grazie a Sacks, ho scoperto che in realtà la mia è una piccola forma di epilessia, che quando si presenta, solo in alcuni momenti precisi della mia vita, a volte a distanza di anni, si manifesta anche nel mio caso con allucinazioni multisensoriali.
La cosa strana è che quando ne soffro sto malissimo ma quando non c’è alcuni dei sintomi, per così dire, “mi mancano”.
Capita anche a te?

Ho avuto la tua stessa sensazione. I medici mi imbottivano di medicinali che intensificavano i sintomi anziché alleviarli. I farmaci per l’emicrania non agiscono sulle cause, ma abbassano la sensibilità del corpo. Non lo riconoscevo più. Così ho smesso con i farmaci e ho provato a capire quali fossero le mie necessità.
È vero, l’ipersensibilità è senz’altro un problema per l’emicrania, ma è una parte fondamentale di me, nel rapporto con il mio corpo, la vita di tutti i giorni ed il mio lavoro.
Purtroppo nel mio caso, i cosiddetti “trigger”, gli eventi che fanno scattare l’allucinazione, sono estremamente comuni, ad esempio le luci al neon o i suoni molto forti, come una radio a tutto volume. Per fortuna non sono allucinazioni particolarmente intense, quindi sono sopportabili.

(courtesy: Francesca Magliani)

I miei, di “trigger”, cambiano periodicamente. A volte è l’odore di muffa, altre un ricordo specifico, altre ancora un certo tipo di luce associata a una certa temperatura. Vai a capire il perché…

Io ho un’allucinazione piuttosto intensa che capita solo in determinate condizioni. Succede solo se c’è un cambio di luce repentino, ad esempio il crepuscolo, ma solo in autunno o primavera. La luce dev’essere particolarmente fredda, quasi azzurra. Quando ci sono queste condizioni, all’improvviso vedo tutto molto desaturato e a scatti, come se ci fossero delle luci stroboscopiche o mancassero dei fotogrammi. Di solito questa visione è accompagnata da una nausea improvvisa e l’acufene si intensifica molto. Dura pochi istanti, ma sembra che il tempo rallenti.
Quando ho questo disturbo sto davvero male e fa paura, perché di solito capita all’aperto, per strada. Poi ho letto proprio di questo disturbo nel libro di Sacks ed è stato rassicurante. Capisci che sta tutto nella tua testa e che poi passa.
Questo disturbo è quello che quando c’è mi fa stare male, ma quando non c’è mi manca. Credo che sia perché queste cose sono molto simili ai miei sogni. Fanno parte di te e, nonostante il dolore o il senso di smarrimento che possono provocare, a modo loro ti rendono speciale.

(courtesy: Francesca Magliani)

Tu che tipo di lavoro hai fatto, per cercare di spiegare quello che è così difficile spiegare?

Non considero Disturbance un progetto finito, quanto piuttosto uno studio, uno strumento per sviluppare via via linguaggi più complessi ed efficaci. Per questo motivo mi sono limitata all’illustrazione, lasciando temporaneamente da parte altri media.
Ogni illustrazione rappresenta un singolo disturbo. L’aura emicranica però è sovente caratterizzata da più disturbi sovrapposti. Per questo ho affiancato all’edizione una serie di mini poster, che raffigurano il “ritratto” di alcune persone che mi hanno raccontato le loro storie.

Per i testi, invece?

I testi sono un abstract dal libro di Sacks. Quello che mi ha colpito, del libro, è la semplicità e la chiarezza con la quale tratta argomenti piuttosto complessi. Volevo riproporre quella stessa semplicità e chiarezza nel layout. Così le pagine, la gabbia e le proporzioni tra i testi sono costruiti in proporzione aurea. Carta e font hanno colori morbidi, per non creare un contrasto troppo forte. Tutti questi elementi sono pensati per adattarsi ergonomicamente alle necessità di chi soffre di emicrania. Ma il cuore del progetto sono le illustrazioni.

(courtesy: Francesca Magliani)
(courtesy: Francesca Magliani)

Hai consultato anche specialisti, addetti ai lavori?

Sì, come ho già accennato, volevo un oggetto, uno strumento che potesse aiutare altri come me. Così ho visto alcuni specialisti, medici, ricercatori, sia in Italia, sia in Svizzera.
Quello su cui tutti concordavano è quanto sia difficile cercare di far capire ad altri come ci si sente quando si ha un attacco.
Quindi ho iniziato a cercare libri sulla rappresentazione dell’aura.

Ce ne sono?

Ce n’è uno molto interessante di Klaus Podoll M.D. and Derek Robinson. Si chiama Migraine Art. The migraine experience from within ed è una raccolta di disegni fatta da persone che soffrono di emicrania. Si tratta di un buon libro per quel che riguarda la catalogazione e la descrizione dei disturbi.
I disegni aiutano a capire la forma di un disturbo e sono stati fondamentali nel mio lavoro di ricerca.
Quello che invece non mi piaceva del libro era l’aspetto generale. Ha una copertina verde e marrone, il colore delle pagine vira leggermente al verde. Ha una struttura poco chiara e disordinata. È un libro che invoglia poco alla lettura. Trattandosi di un argomento abbastanza pesante, sarebbe stato meglio fare un oggetto più piacevole da tenere in mano e sfogliare. È quello che ho cercato di fare con Disturbance e spero di essere riuscita nell’intento.
Parlando invece delle illustrazioni, la maggior parte di quelle che ho trovato erano delle rappresentazioni molto drammatiche, che spesso cadevano nel cliché. Non era il dolore ad interessarmi, quanto piuttosto le sensazioni che ne derivano.

(courtesy: Francesca Magliani)

A proposito di sensazioni: mi interessa molto capire come hai fatto a “tradurre” in immagini quelle uditive, tattili…

Nella sezione di Disturbance che riguarda le allucinazioni visive, le illustrazioni sono abbastanza didascaliche e vanno lette come dei filtri, come qualcosa che sta tra l’occhio e ciò che vediamo.
Le altre illustrazioni invece rappresentano i disturbi tattili, uditivi, linguistici, percettivi. La difficoltà in questi disturbi è che non posso essere visti. Perciò andavano interpretati più come una sensazione. Ad esempio per rappresentare l’intorpidimento e i formicolii ho utilizzato il disturbo, come quello del rumore bianco. Per mostrare la sensazione di avere una parte del corpo deformata, ho utilizzato la fotocopiatrice per allungare o stringere delle forme che avevo disegnato.
Quello che volevo ottenere non era una lettura immediata del disturbo, ma una comprensione delle sensazioni che provoca.
Non so dire se sono riuscita a raggiungere lo scopo. Per lo più ho ricevuto feedback molto soddisfacenti, ma ovviamente non tutti si sentiranno rappresentati o coglieranno il senso del lavoro. Ognuno di noi ha dei linguaggi verso i quali è più ricettivo.

(courtesy: Francesca Magliani)

Per i disturbi che non hai sperimentato in prima persona come hai fatto?

Ho dovuto immaginarli. Credo che in questo caso sia entrata in gioco quell’ipersensibilità di cui parlavo prima.
Devo dire che la soddisfazione più grande l’ho avuta quando ho potuto mostrare il lavoro finito alle persone che avevo intervistato. La maggior parte ha avuto una reazione entusiastica nel vedere il proprio disturbo rappresentato su carta.
Ma la soddisfazione più grande forse l’ho avuta quando ho presentato il lavoro in sede di esame. All’Ecal viene chiamata una giuria esterna per valutare i progetti di diploma. Il mio timore era che il progetto non venisse compreso ma, tra la giuria, c’era una persona che soffriva di emicrania con aura e che, guardando uno dei poster che erano sul tavolo, mi ha detto che quello era lui, che quella era la rappresentazione di come si sentiva durante un’attacco. È stato davvero emozionante.

Credi ci sia possibilità che il libro venga poi pubblicato e possa arrivare al pubblico?

Mi piacerebbe molto, ma c’è ancora molto lavoro da fare. Tutto il processo, dalla ricerca, alla definizione del progetto e gestione dei contenuti, fino alla realizzazione e stampa dei prototipi, ha avuto luogo in quattro mesi.
Per me è stato uno studio, una riflessione sui linguaggi visivi più adatti a rappresentare i disturbi dell’emicrania. Sarebbe bello poterlo prendere nuovamente in mano e portarlo a termine. Ma per poter fare un lavoro completo, un progetto simile richiede molto più tempo e la collaborazione con una struttura specializzata, con degli specialisti che possano affiancarmi e aiutarmi a gestire i contenuti e la catalogazione dei disturbi.

(courtesy: Francesca Magliani)
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