Foto di Valerio Vidali

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Foto di Francesca Scotti
Foto di Francesca Scotti

In un periodo in cui i talenti se ne vanno a cercar fortuna all’estero ho deciso di chiedere a tre di loro come si vive da “esportati”.
I protagonisti dell’intervista parallela sono Valerio Vidali, illustratore, attualmente di base a Berlino; Laura Fanelli, illustratrice, a Tolosa; Francesca Scotti, scrittrice e blogger, a Nagoya.

* * *

Qual è la vostra città di origine? Quando avete deciso di partire?

Valerio: Sono nato a Lodi, una piccola cittadina nascosta nella nebbia della pianura padana. Mi sono trasferito all’estero circa 7 anni fa, una volta terminati gli studi.

Laura: Sono nata a Termoli, dove ho vissuto fino al 2005, anno di diploma del Liceo Artistico. Ho poi abitato in altre città: Bruxelles, Roma, a Coruña e Bergamo.

Francesca: Sono nata a Milano ed è lì che ho sempre vissuto finché, nel 2011 mi sono trasferita in Giappone. La decisione, di cuore e di testa, l’ho presa circa un anno prima, nell’autunno 2010.

Foto di Valerio Vidali
Foto di Valerio Vidali

Come siete finiti a Berlino, Tolosa e Nagoya?

Valerio: Terminati gli studi e raggiunto un barlume di indipendenza economica, decisi di trasferirmi a Barcellona, dove vissi circa un anno, da lì mi spostai a Lisbona per lavorare con una galleria di arte grafica che mi offrì la possibilità di imparare le tecniche di stampa tradizionali.
Da lì a New York per lavorare ad un libro insieme ad una amica; una volta terminato il progetto (e scaduto il visto) optai per Madrid, dove rimasi un altro anno. Infine Berlino.
Mi ci trasferii in pieno inverno; citando Lucio Dalla; «un po’ triste, molto grande…»

Laura: Penso che i viaggi siano come i pistacchi: quando cominci ci prendi gusto e non smetti più!
L’estate del 2011 la fortuna mi ha portata prima in Cappadocia, poi in Portogallo e infine in Francia.
Il terzo viaggio l’avevamo barattato con i ragazzi di una compagnia di circo in cambio della realizzazione della locandina del loro ultimo spettacolo e così ci sono rimasta dieci giorni.
La città mi è piaciuta moltissimo, oltre alla bellezza estetica quello che mi ha colpito è l’atmosfera che si respira.
Al mercato ho incontrato un vecchio hippie parigino che da anni ogni domenica va lì per il solo piacere di essere circondato da decine di bambini che si divertono a suonare i mille strumenti che lui mette a disposizione e questo mi ha riempita di gioia. L’aria era dolce e accanto al fiume in cui nuotavano le anatre era pieno di gente che faceva picnic, esponeva quadri e suonava melodie spagnoleggianti.
Sono andata alla mediateca a sfogliare libri per ragazzi, poi ho preso una bici con il bike sharing e mi sono persa felicemente per le vie della città.
L’anno successivo mi è stato proposto di trasferirmi qui e io ho deciso senza esitazioni di cercare una casetta nella “ville rose” e provare a vivere del mio lavoro di illustratrice.

Francesca: Il mio primo incontro con il Giappone risale a diversi anni fa: un viaggio d’estate senza troppe aspettative. Non avevo una fascinazione particolare per l’oriente se non quella di scoprire un luogo totalmente sconosciuto.
Da ragazzina non leggevo manga e non guardavo gli anime, nemmeno la letteratura giapponese, all’epoca, mi aveva conquistata. Ma appena raggiunta Tokyo, nell’istante in cui l’ho guardata dall’alto e ne ho respirato l’aria dal basso, ho avuto la certezza che lì, e in tutto l’arcipelago, ci fosse racchiuso e nascosto qualcosa di mio. Non avevo idea di cosa fosse, ma lo avrei cercato.
Da allora il Giappone è diventato la mia patria d’elezione, ci sono tornata ogni anno per viaggi più o meno lunghi, e poi, qualche anno fa, mi sono trasferita a vivere prima a Kyoto e poi a Nagoya insieme a mio marito.
Sono arrivata a Nagoya con il buio e non l’avevo mai vista prima, ho pensato che somigliasse ad alcuni quartieri di Tokyo. Invece no, ha un respiro diverso, si alza spesso un forte vento che pulisce il cielo facendolo brillare anche d’inverno.

Foto di Laura Fanelli
Foto di Laura Fanelli

Da quanti anni ci state? Le prime impressioni?

Valerio: Sono già quasi tre anni, è una città sorprendentemente viva, soprattutto quando arriva la primavera, in inverno si nota più la durezza della gente, in realtà è una città piuttosto aperta e accogliente.

Laura: Sono ormai due anni che vivo qui, è il posto in cui mi sono fermata più a lungo finora e non sono affatto stanca. Adoro Toulouse, è un amore in crescendo e la cosa bella è che ogni nuova persona che conosco ne è innamorata.
A mia madre ho detto che mi sento a casa e lei ha alzato le sopracciglia incredula mentre io cercavo di convincerla che la casa non è il posto in cui nasci e forse non è neanche un luogo fisico ma un insieme di sensazioni.
Appena posso continuo a viaggiare, non faccio progetti a lungo termine e mi dico che per ora è qui che sto bene e questo mi basta.

Francesca: Vivo a Nagoya dalla fine del 2012. È una città grande, la quarta maggiore del Giappone e la terza per quanto riguarda l’economia.
Condivido la quotidianità con più di 2 milioni di abitanti ma, nonostante questo, non ci siamo mai schiacciati i piedi!
È una città che si affaccia sull’Oceano Pacifico e, anche se non posso dire di sentirmi davvero sul mare, è comunque una presenza vitale che percepisco. Rispetto a Kyoto sicuramente manca di bellezza ma compensa con un maggior numero di sorrisi e sguardi accoglienti.
Nagoya è la città della Toyota, del Pachinko (un gioco d’azzardo ideato sul finire della seconda guerra mondiale) e della Tv Tower che viene distrutta da Godzilla nel film del 1964. Allo stesso tempo ospita il secondo santuario shintoista più venerato del Giappone, Atsuta jingu (risalente a più di 1900 anni fa) e il Castello… Come accade in molte città del Giappone aspetti tradizionali si fondono con quelli ultramoderni creando una dimensione urbana fascinosa.

Foto di Francesca Scotti
Foto di Francesca Scotti

Prima di partire parlavate già la lingua locale? E adesso?

Valerio: Purtroppo no, mi vergogno a un po’ a dirlo ma non parlo il tedesco neppure ora. Le lingue che parlo più frequentemente qui a Berlino sono l’inglese e lo spagnolo.

Laura: Sì, il mio francese era un po’ arrugginito però lo masticavo già piuttosto bene avendo vissuto un anno e mezzo in Belgio dove ho studiato e lavorato.
Adesso ça va, non ho molti problemi anche se non ho mai sentito troppo mia questa lingua, è una delle poche cose che non mi hanno ancora conquistata di questo posto. Forse la trovo troppo macchinosa e cortese, preferisco lo spagnolo e naturalmente l’italiano, più dirette, confidenziali e cantate.

Francesca: Ho iniziato a studiare giapponese prima di lasciare l’Italia. È una lingua complessa sotto una molteplicità di aspetti e la scrittura per me è disegno. Richiede costanza e dedizione e io dovrei impegnarmi di più!

Foto di Francesca Scotti
Foto di Francesca Scotti

Dove lavorate? In casa o in studio? Parco pubblico? Caffè?

Valerio: Condivido uno studio in Kreuzberg con una cara amica. È uno spazio piccolo ma accogliente, si trova a pian terreno e abbiamo una grande vetrina che sia affaccia sulla strada, i passanti spesso entrano scambiandoci per un negozio. Quando c’è sole portiamo tavolo e sedie in strada e mangiamo lì. È piacevole ed è un buon antidoto alla tendenza ad isolarsi che gli illustratori spesso hanno.

Laura: Mi piacerebbe avere uno spazio condiviso dove lavorare assieme ad altre persone ma per ora lavoro principalmente da casa. È vero che essendo freelance posso gestirmi il tempo come voglio ma cerco di avere ritmi standard per poter concedermi serate e weekend liberi. Esco spesso per prendere aria, adoro andare a zonzo per i mercati, guardare concerti e spettacoli di circo e teatro. Porto con me sempre un quaderno dove prendere appunti e fare schizzi, mi fa sentire in vacanza.

Francesca: Lavoro a casa ma ogni tanto, quando la stagione lo permette, scappo al parco a leggere o a scrivere un po’. Di spazi verdi ce ne sono molti, anche vicini a templi o santuari che rendono il verde ancora più rasserenante e piacevole.

Foto di Laura Fanelli
Foto di Laura Fanelli

Un posto dove vi piace fare colazione?

Valerio: Normalmente facciamo colazione nello studio, la mattina è il momento dove abbiamo sole diretto quindi è bello farla lì, altrimenti in casa, sul balcone.

Laura: Alla boulangerie, il panificio! Ah che bontà il profumo dei croissant e dei pain au chocolat!
Per fortuna però non ho preso l’abitudine e me lo concedo come un lusso e uno sfizio culinario, anche perché è burro puro!
Ad ogni modo la colazione è il pasto a cui dedico più attenzione anche da sola, mi preparo frullati e succhi fatti in casa, il caffè con la moka non manca mai e se c’è il sole mi godo questo momento di pace in terrazza.

Francesca: La colazione tradizionale giapponese prevede riso bianco, pesce cotto, chawanmushi (un budino di uova leggero con pesce o funghi) e altre variazioni sul genere. A casa non ho la pazienza di prepararmi tutto questo e così aspetto di essere in vacanza in qualche ryokan per poterne approfittare!
Ci sono alcune caffetterie dove la servono ma non so perché non le ho mai provate.

Foto di Valerio Vidali
Foto di Valerio Vidali

Vi piace la cucina locale?

Valerio: Sì, mi piace, anche se devo dire che il quartiere dove vivo è pieno zeppo di ristoranti di ogni tipo e nazionalità, quelli tedeschi sono una minoranza e onestamente non sono quelli che visito più spesso.

Laura: La cucina locale è forse troppo pesante per me, alla carne di anatra, salsicce e fagioli io preferisco di gran lunga le verdure e il pesce.
Però il formaggio! Quella sì che è una cosa di cui non posso più fare a meno! Il Compté, il Tomme des Pyrenées o lo Chèvre abbinati all’avocado (che chissà da dov’è che viene) e alla baguette sono diventati il mio piatto preferito degli ultimi mesi e ai picnic non manca mai.

Francesca: Per me la cucina giapponese è un luogo sicuro e curioso nel quale trovo sempre qualcosa che faccia al caso mio. Gli orrori ci sono, ma le meraviglie li superano di gran lunga.
Anche qui, come in Italia, gli aspetti “regionali” si fanno sentire: Nagoya ha dei piatti tipici dal gusto deciso, che poco assomigliano all’ideale “anemico” che si ha di una certa cucina giapponese. Per fare qualche esempio ci sono i tebasaki (ali di pollo arrostite dopo una marinatura carica di pepe), il misokatsu (cotoletta di maiale ricoperta di una salsa di miso rosso) e l’hitsumabushi (anguilla servita in tre diverse cotture).
Ecco, l’anguilla – prima grigliata, poi cotta al vapore, immersa in una salsa leggermente dolce e infine grigliata nuovamente – servita sul riso è diventata una dei miei banchetti preferiti.

Foto di Francesca Scotti
Foto di Francesca Scotti

E la gente? Com’è?

Valerio: Mediamente più alta, più bionda, tante barbe, tanti bambini.

Laura: Quello che più mi piace è proprio la quantità di persone interessanti che incontro: cantanti, circensi, fotografi, illustratori, cantastorie, bibliotecari, registi, scrittori… francesi, spagnoli, argentini, messicani, colombiani… è un confronto continuo e un grande arricchimento culturale.
Ci sono moltissime famiglie giovani e ho l’impressione che tutti godano molto del tempo libero, tra passeggiate, teatri, cinema e giochi all’aria aperta.
L’autista del bus ti saluta e tu lo ringrazi quando scendi. Il panettiere ti augura una buona giornata e sulle strisce pedonali puoi attraversare a occhi chiusi.

Francesca: La gente è disponibile e curiosa, soprattutto quando scopre le mie origini italiane.
Talvolta vengo invitata nei localini del quartiere (izakaya, simili ai nostri pub ma di dimensione spesso più ridotta o familiare) a cucinare cibo italiano che poi viene condiviso con gli avventori e gli amici dei proprietari chiamati per l’occasione.
Amano le lasagne, la carbonara e il tiramisù!
Rispetto a Kyoto mi sono sentita più accolta anche se non sono ancora riuscita a stringere profonde amicizie con ragazze o ragazzi giapponesi qui. Certamente la barriera linguistica gioca un ruolo fondamentale alla quale si aggiungono differenze culturali che, nei territori della confidenza, si fanno più delicate e insondabili.

Foto di Laura Fanelli
Foto di Laura Fanelli

Nostalgia dell’Italia? E quando siete in Italia, avete nostalgia della Germania, della Francia, del Giappone?

Valerio: Ho nostalgia di tanti posti e tante persone, continuamente.
Anche dell’Italia, certo.

Laura: Certo! Non esiste il posto perfetto. Dell’Italia mi mancano gli affetti, le battute del barista, i sapori autentici del cibo, l’ironia, i dialetti, la frutta, l’eleganza.
Viceversa quando sono in Italia mi mancano la pista ciclabile, la gentilezza, l’offerta culturale, le cene in cui si parlano almeno tre lingue, i messicani che suonano in terrazza, il lungofiume, le donne senza trucco.

Francesca: Dell’Italia mi mancano i libri di carta, qui riesco a leggere giusto qualche cartonato per bambini con molte figure e quindi devo cedere all’ebook.
Mi manca la frutta che qui è molto costosa e viene consumata con parsimonia (io ero abituata a mangiare la mezza anguria a cucchiaiate, qui un’anguria costa non meno di 15 euro, per arrivare anche a 40) e mi mancano gli abbracci che ci si dà anche per salutarsi.
In compenso quando sono in Italia sento una forte nostalgia per la mia patria d’elezione, per il sole che tramonta veloce e per tutto quanto ancora non conosco e voglio scoprire.

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