Working on my novel

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Cosa comporta, oggi, scrivere?

Se in passato fior di autori hanno speso fiumi di inchiostro cercando di raccontare, descrivere, decostruire, elogiare, analizzare — e talvolta psicanalizzare — la pratica della scrittura, in un’era in cui la comunicazione è istantanea, le distrazioni a portata di sguardo, di mouse e di tocco, il feedback immediato e il facile sarcasmo in agguato dietro a ogni angolo, di cosa si parla — parafrasando il titolo di una celebre raccolta di racconti di Carver — quando si parla di scrittura?

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Su un argomento del genere ci si potrebbero scrivere valanghe di saggi, sminuzzando e osservando al microscopio ogni singolo aspetto dello scriver contemporaneo, col rischio però di essere sempre un passo indietro ai proverbiali tempi che non solo corrono ma addirittura galoppano via in tutte le direzioni, sfuggendo anche al più attento degli sguardi.

Una valida alternativa al cercar di raccontare la scrittura è registrarne però gli effetti su chi la pratica, che è poi l’approccio utilizzato dall’artista, compositore e programmatore informatico newyorkese Cory Arcangel, che ha recentemente pubblicato Working On My Novel, una semplice raccolta di tweet (o, meglio, di retweet fatti dall’account @WrknOnMyNovel, opportunamente selezionati tra quelli che contenevano l’espressione poi diventata il titolo del libro) di scrittori e pseudo-scrittori all’opera.

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In mezzo a tutta l’auto-celebrazione — più o meno consapevole — propria dello sbandierare pubblicamente ciò che si sta facendo e a cui sta lavorando (o quantomeno provando a lavorare), gli oltre 100 tweet pubblicati da Arcangel sono la summa di ciò che significa scrivere nell’era del tutto e subito: speranza, frustrazione, ansia, arroganza, entusiasmo, tanta ingenuità, poca umiltà, molte, moltissime occasioni di distrazione e nessun riferimento al possibile (quasi certo, a dire il vero) fallimento.

Quasi che la possibilità di non farcela (innanzitutto a portare a termine un’opera, e a vederla poi pubblicata — nel qual caso scatta il carosello dei “ringraziamenti” — ma soprattutto letta) non venga contemplata, almeno non nel discorso pubblico — quello che passa per i social.

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