foto © Mattia Buffoli

Val D’Europe, next stop EuroDisney

Siamo a Disney World! La madre di tutte le attrazioni, la madre del divertimento, l’epitome del Bello e del Buono. Voi state giocando con Disney World! Signora, signora si rende conto di cosa significa questo? Significa che se gli gira, quelli ve lo mettono nel culo come gli pare e piace. Perché non hanno solo le armi, la Bomba e gli animatronic, ma i Dieci Comandamenti e anche i Combattenti per la Causa Cristiana! Hanno degli agganci con princìpi alti e importanti: la Sicurezza Prima di Tutto e l’Accesso ai Portatori di Handicap. Coi lavandini doppi e i materassi ortopedici. Con tutti i comfort, le stanze pulite e la garanzia del rapporto qualità-prezzo. Con la pubblica temperanza e un Ufficio Oggetti Smarriti con i controcazzi, meglio dei servizi segreti! Con topi intelligenti e orsi simpatici, con draghi ritrosi e tori ortolani. Con la morsa affettuosa di madre natura, in un certo senso.

Stanley Elkin, Magic Kingdom, 1985

Nei primi anni ’90 l’antropologo ed etnologo francese Marc Augé — quello che ha coniato il termine nonluogo — ha scritto per conto del mensile Le Monde Diplomatique una serie di reportage raccolti poi in un saggio, Disneyland e altri nonluoghi, pubblicato in Italia nel ’99 da Bollati Boringhieri.

Nel primo reportage, intitolato Un etnologo a Disneyland, Augé racconta che a Disneyland tutti hanno in mano una macchina fotografica o una videocamera e che ciascuno di coloro che fotografano e filmano vengono a loro volta fotografati e filmati sa qualche altro turista.
«Si va a Disneyland», scrive l’antropologo, «per poter dire di esserci andati e fornirne la prova. È una visita al futuro anteriore che trova tutto il suo senso più tardi, quando si mostrano ai parenti e agli amici, commentandole, le foto che il piccolo ha fatto del padre che lo stava filmando, poi il film del padre, a riprova» (e all’epoca non c’era ancora Facebook quindi Augé non sapeva ancora che oggi si fa la stessa identica cosa ma in tempo reale, senza neanche invitare fisicamente a casa propria amici e parenti).

foto © Mattia Buffoli
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Augé visita castelli, parla con Biancaneve e Mary Poppins, vede adulti sempre più stanchi spendere i loro soldi nei negozi e alla fine capisce, arriva a spiegarsi il perché del fascino di un posto come Disneyland o Disneyworld sul pubblico.
Nell’epoca della spettacolarizzazione (in cui l’omicidio di una ragazzina bergamasca, una guerra di religione o un reality show vengono affrontati allo stesso modo) Disneyland è la spettacolarizzazione dello spettacolo, «un turismo al quadrato», la visita a un posto che non esiste e quindi rappresenta il succo del mondo in cui viviamo: la rappresentazione del vuoto e della libertà.

Avesse aspettato qualche anno, nel suo viaggio Marc Augé avrebbe potuto “ammirare” anche un altro nonluogo, Val D’Europe, 35km a est di Parigi, un’area urbana nata dal nulla a fine anni ’90, quando la Disney ha collaborato con i francesi per costruire un cittadina in stile Haussmann (colui che supervisionò la ricostruzione di Parigi nell’800 e che di fatto fu l’artefice dell’immagine urbana della capitale francese, quella che ancora oggi attira milioni di turisti) in modo da ospitare chi lavora nel parco dei divertimenti e negli enormi centri commerciali della zona.

foto © Mattia Buffoli
foto © Mattia Buffoli

Mattia Buffoli, fotografo classe 1983 e nostra vecchia conoscenza, è andato a vedere Val D’Europe e lì ha realizzato un progetto fotografico intitolato Val D’Europe – Next Stop EuroDisney, scoprendo che si tratta praticamente di una cittadina fantasma, un nonluogo dove abitano quelli che lavorano in un altro nonluogo. L’ennesimo cortocircuito della nostra società dello spettacolo.

«Le uniche persone che incontri a Val d’Europe», dice Mattia, «sono in stazione o nel centro commerciale. In tutti gli altri posti sembra una città fantasma spuntata all’improvviso nel bel mezzo del nulla. Gli unici suoni sono quelli degli uccelli o di qualche auto lontana. Qui abitano quelli che lavorano al centro commerciale o a EuroDisney ma la sensazione che ti assale è che nessuno vive davvero il questo posto».

foto © Mattia Buffoli
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co-fondatore e direttore
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