Cartoline da Follina

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Ho ancora nelle orecchie Celentano.
Un’altra di quelle volte in cui una canzone ti entra in testa e ci rimane per giorni, finché non svanisce silenziosamente, così è arrivata.
Sabato 7 giugno. Ore 16.55. l’orologio sul display della farmacia di uno dei paesini attraversati dal 17 dice che ci sono 32°. Ecco perché fa così caldo.
Sembra di essere al mare e invece siamo in montagna.

Sono di nuovo qui, dopo due settimane, di sabato pomeriggio a viaggiare tra colline verdeggianti e montagne di alberi. Sono tornata a Follina, sono tornata al Lanificio.
Quelle colline hanno lasciato il segno. Sono verdi, rigogliose, ricoperte da vigneti che sembrano crescere in maniera virale, ricoprendo ogni centimetro di terra. In realtà lo sappiamo tutti che c’è un contadino, o anche più di uno, che accudisce ogni vite, ogni giorno, con amore e pazienza. Quelle foglie verdi, grandi come se fossero ombrelloni, nascondono acini rotondi e luminosi come le bollicine del prosecco in cui si trasformeranno tra qualche mese. Follina, Valdobbiadene, Miane e tutti i paesini limitrofi, sono i paesi dello . E del vino bianco.

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Sono qui per il secondo appuntamento dell’evento La via della Lana al Lanificio Paoletti. Una giornata importante per il workshop di storytelling a cui sto partecipando nell’ambito dei miei studi magistrali all’Università Iuav di Venezia.
C’è il secondo incontro con i ragazzi del secondo anno della triennale in Design della Moda. A loro avevamo già presentato una bozza dei nostri lavori (miei e dei miei compagni: Daniele Bellonio, Martina Diotallevi e Monica Evola) di storytelling con cui abbiamo raccontato Paoletti, il lanificio e il suo archivio dal nostro punto di vista.

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Abbiamo portato i nostri libricini, la nostra planimetria tattile, le nostre scatole, le nostre filastrocche. 4 tipologie di oggetti che abbiamo scelto per illustrare e raccontare quello che avevamo visto, sentito e percepito nella nostra prima visita qualche settimana fa.
I libricini raccontano la storia e la progettazione, secondo noi, di 6 tessuti recuperati dall’archivio e rimessi in produzione: 6 tessuti messi a disposizione di 14 studenti della triennale per trasformarli in abiti.

La planimetria tattile illustra — visivamente e tattilmente — il percorso che segue la lana all’interno del lanificio. Nelle scatole abbiamo voluto racchiudere le lavorazioni che permettono di trasformare la lana in tessuto. In fondo anche queste sono illustrazioni tattili. Le filastrocche, invece, raccontano la fantasia (o un diverso modo di fare): dare nomi buffi e divertenti ai filati prodotti negli anni ’30 e ’40 e scritti nei libroni usati come catalogo.

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Il lanificio è pieno di gente — c’è anche la sagra di Pentecoste — tutti curiosi di girovagare lì attorno e tutti contenti di farlo dopo la pausa nei locali del rimaglio in cui sui tavoli erano magicamente comparsi vassoi pieni di formaggio, di salame, di pane fresco e croccante. Accompagnati da bicchieri di prosecco. Bicchieri trasparenti, le bollicine le puoi contare. Anche loro felici e frizzanti.

C’è anche Pepe, un cagnolone goloso che guarda inquieto ogni mano che affonda nei vassoi. A quanto ci racconta la sua padrona, essendo molto goloso, ha imparato ad essere veloce e furbo. Sfrutta il momento delle carezze/coccole per far sparire dolcemente ogni traccia di cibo dalle mani dei due-zampe che gli si avvicinano.

E c’è la signora del feltro. Turbata dalla lana, non riesce a infeltrirla come vorrebbe ma al tempo stesso è piena di fiducia. Sì, fiducia. Fiducia perché ci siamo noi, noi “che siamo giovani” e siamo le nuove generazioni. C’è bisogno delle nuove generazioni che si avvicinano a questi luoghi — dice — a questi saperi. C’è bisogno di salvare quello che rischiamo di perdere.

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E poi c’è Natalina. La figura mitologica che abbiamo tanto aspettato. Eccola lì, con noi, a “scrivere con la macchina” come ci racconta lei stessa.
Ha iniziato a lavorare a 14 anni, nel 1956. Il disegnatore la chiamava “occhio di falco”. Non se ne perdeva una. Durante il suo lavoro si occupava del rimaglio poi, quando finiva il suo turno, andava dal disegnatore che le insegnava come si progettano i tessuti, come preparare il telaio e i fili.

Conosce tutto Natalina, non dimentica niente. Ogni processo, ogni passaggio, tutto memorizzato. Si scusa solo perché parla in dialetto veneto, e crede che non tutti la capiscano.
«Non si preoccupi, noi la capiamo, ci siamo abituate, parli come vuole».

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