Spaghetti infiniti, pasta a base di farina di grillo, stampati 3d modificate, lasagne tatuate…
Non capita tutti i giorni di trovarsi di fronte a sperimentazioni a base di pasta, una delle colonne della dieta mediterranea, simbolo iper-tradizionale (e a volte stereotipato) delle abitudini, dei sapori, dello stile di vita italiano. Tanto che a molti anche solo l’idea di uno spaghetto stampato in 3D potrà sembrare blasfema.
Ad ideare questa eretica provocazione è un gruppo di designer, maker, artigiani e animatori culturali che durante la design week milanese ha allestito una mostra nata dalla volontà di contaminare uno dei temi fondanti dell’italianità—l’alimentazione e nello specifico, appunto, la pasta—con le nuove tecnologie della produzione digitale.
La mostra, intitolata Mondopasta, è ospitata negli spazi di Subalterno1, una galleria in zona Lambrate interamente dedicata all’autoproduzione.
«Durante l’anno Subalterno 1 organizza tre o quattro mostre che poi culminano con una presentazione pensata appositamente per la design week, per poi ricominciare con la normale attività», mi spiega Patrizia Bolzan, una delle coordinatrici dello spazio insieme a Stefano Maffei, che ha curato l’esposizione, ed Andrea Gianni.
«Abbiamo pensato fosse estremamente importante fare Mondopasta in questo momento, utilizzando il palcoscenico della design week», mi spiega LEI, «soprattutto in vista dell’Expo del prossimo anno, per lanciare un messaggio».
Il messaggio è che si può affrontare anche un tema quasi “intoccabile” come quello della pasta con un approccio differente. Talmente differente che Patrizia, sorridendo e senza nascondere una certa soddisfazione, mi racconta di un gruppo di olandesi (durante il Salone/Fuorisalone Lambrate è il regno degli olandesi), dopo aver visto la mostra si sono meravigliati che ad organizzarla fossero degli italiani… E questo la dice lunga sul potere degli stereotipi.
Elemento comune della mostra è la creazione di nuovi formati di pasta o di “personalizzazione” della medesima, facendo lavorare l’ingegno, utilizzando le nuove tecnologie o introducendo strumenti presi da altri settori, spesso e volentieri modificando—ma è più corretto parlare di hacking—gli strumenti.
È il caso della macchina per tatuaggi aggiustata in modo tale da poter funzionare col nero di seppia, così da permettere di tatuare la pasta fresca (e il disegno rimane anche dopo la cottura!). O della stampante 3d con le componenti modificate per realizzare un lunghissimo mono-spaghetto.
Tutti gli strumenti in esposizione sono quelli effettivamente usati per realizzare la pasta.
«Non abbiamo imbrogliato», dice Marcello Pirovano, che insieme a Patrizia ha fondato Tecnificio, una cosiddetta maker facility, punto d’incontro tra nuovo e vecchio artigianato, tra sapere manuale e tecniche digitali.
«Tutto quello che vedi sui tavoli funziona veramente».
I prototipi utilizzati sono frutto della collaborazione con altre realtà innovative nel nuovo mondo della produzione digitale: FabLab Milano e Slowd (che ho già avuto modo di intervistare giusto un anno fa), oltre allo stesso Tecnificio.
I progetti di Mondopasta sono frutto di una “call”, una chiamata alle arti attraverso la quale gli organizzatori hanno chiesto a una rosa ristretta di designer di presentare un’idea. Tra quelle arrivate ne sono state poi scelte sette («Circa il 30%», rivela Marcello), più che altro per questioni di spazi limitati, privilegiando quelle meno finite e più sperimentali, che potessero però offrire più spunti di riflessione sul tema cibo-nuove tecnologie.
E proprio su tavoli da pranzo—di modernariato, che quindi creano un contrasto affascinante che si sposa benissimo con il concetto tradizione/innovazione—è allestita l’esposizione. «L’autoproduzione si vende poco, il modernariato va sempre» mi spiega Patrizia, che mi racconta anche che Subalterno1 per finanziare le mostre vende appunto modernariato.
Come a confermare quanto appena detto arrivano due anziane e vispe signore milanesi che girano curiose per la stanza, chiedono informazioni, ammirano un po’ schifate i barattoli pieni di grilli vivi a km0 (sono brianzoli, allevati per dar da mangiare ai serpenti) da utilizzare come materia prima per la pasta a base di farina di grillo (80% di proteine e un sapore che assomiglia a quello del pane di segale), e poi prima di uscire chiedono lumi sui tavoli e sulle sedie e se ne vanno soddisfatte con un biglietto da visita e in mano, promettendo di ritornare a fare acquisti a fine design week, finanziando, senza saperle, le prossime iniziative della galleria.
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