Quando un paio di anni fa mi invitarono a Berlino per un giro su una bici elettrica, una delle cose che notai durante il tour era la gran quantità di attività commerciali e culturali nascoste tra le quattro mura delle normali case private. C’erano gallerie d’arte in casa, showroom in casa, ristoranti in casa, parrucchieri in casa, negozi di bici in casa…
«Più stanze ci sono», scrissi all’epoca, «più è alto il numero di potenziali attività commerciali o culturali che gli inquilini possono portare avanti a pochi passi da dove dormono». Attività non sempre regolari ma nella maggior parte dei casi—così mi raccontavano—sostanzialmente graziate dalle autorità, che chiudono volentieri un occhio e lasciano fare.
Ma se a Berlino la quantità di case-non-solo-case è significativa, in tutto il mondo, Italia compresa, esperienze simili non mancano e un nuovo magazine spagnolo si propone di scovare e raccontare le openhouse—così le chiamano, case aperte.
La rivista si chiama appunto Openhouse Magazine (sottotitolo: the life we share), uscirà due volte all’anno e dopo mesi di lavorazione il primo numero—che raccoglie servizi e reportage su esperienze di openhousing di tutto il mondo, da Barcellona a Londra, da Tokyo a Milano (dove si parlerà del duo gastrofashionista Gnam Box)—è quasi in stampa, supportato da una campagna di raccolta fondi su Kickstarter.