Just in Case

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Andrea Segato è un designer ma, sopra ogni altra cosa, è un designer con una missione: mettere in discussione i punti di vista dettati dalle abitudini per offrire nuove prospettive. Nell’eterno dualismo tra forma&funzione, tra prodotti pensati per essere e prodotti pensati per fare, prodotti che risolvono problemi e altri assolutamente inutili ma “belli da vedere”, è raro trovare chi usa l’ingegno per porsi e porre domande, ché le domande, lo sanno tutti, sono il primo gradino per uscire dai vicoli ciechi e trovare la strada per evadere dai confini dentro ai quali ci troviamo a vivere e pensare.

Poco più di un anno fa Segato, in arte Self Andrea, aveva messo alla prova niente meno che la percezione, realizzando una serie di maschere da supereroe capaci di simulare la percezione del mondo di un non vedente ed educare i cosiddetti “normali” all’utilizzo dei sensi solitamente messi da parte a favore della vista.

Stavolta invece l’attenzione di Andrea si è soffermata sulla più invadente delle nuove tecnologie—lo smartphone—per esplorare la relazione tra l’uomo e il suo iPhone (fosse un essere vivente, il telefonino, si potrebbe addirittura parlare di simbiosi o di parassitismo: nostro nei sui confronti o viceversa, non è così semplice stabilirlo).

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Se il vivere digitale da una parte ha creato nuove gestualità, dall’altra—in alcuni casi, neanche poi pochi—ha semplicemente rimbecillito l’homo sapiens sapiens riducendolo a una sorta di prevedibile, controllabile e iper-sorvegliato automa: il fantomatico utente.

Partendo da questa considerazione Andrea ha iniziato a lavorare al suo ultimo progetto, Just in Case, una serie di applicazioni per iPhone nel senso più stretto del termine e cioè di oggetti da applicare a qualcosa (e qua il nostro Federico Demartini potrebbe tirarci fuori un bel Bisticcio), progettando delle estensioni fisiche che oltre ad essere piene d’ironia (che fa dimenticare qualche pasticciaccio con l’inglese nei testi che accompagnano le app) mettono in discussione alcuni degli utilizzi più frequenti di uno smartphone.

Si parte col selfie, grazie a dei mini-fantocci che permettono di ovviare al problema della giusta angolazione e di controllare che l’espressione sia sempre perfetta e non da sfigato.

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Si continua con le mappe, che se il telefono si scarica ti lasciano in mezzo al nulla, senza più alcun senso dell’orientamento a venirti in aiuto e con il senso d’attrazione verso l’ignoto ridotto a zero dall’efficienza del GPS.
E per mezzo di un “pratico” dosatore di semini/sassolini da applicare all’iPhone la strada di casa sarà sempre a portata di mani.

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E Andrea ha pensato pure ai bambini, che preferiscono muovere coi loro ditini oggetti inesistenti sullo schermo del telefono o del tablet di mamma e papà invece di starsene fuori a imparare la vita, a non sentirsi quel “bambino speciale” che poi da grande spenderà un patrimonio in psicanalisi, a farsi gli anticorpi, a sviluppare il senso dell’orientamento di cui sopra, a sbucciarsi un ginocchio, ad arrangiarsi a gestire la rabbia e a fare i compromessi coi propri simili.
Per loro il designer immagina un’iPhone stile puzzle per dare l’illusione di star giocando davvero nella realtà…

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Per i crescenti problemi che riguardano il conversare, in un mondo dove è praticamente impossibile uscire a bere qualcosa senza che qualcuno si metta a fissare il suo piccolo schermo tascabile ridacchiando e interagendo con un invisibile simpaticone a chilometri di distanza, ecco una sorta di lista avvolgibile da applicare al telefono con su scritti una serie di argomenti di cui parlare casomai, com’è probabile, la conversazione faccia a faccia dovesse arrivare a un punto morto.

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Infine c’è iCrashed, un bastone che prendendo a prestito la strategia da quella dei non vedenti (dopotutto chi sta sempre appiccicato a uno schermo anche per strada può essere benissimo considerato privo di uno o più sensi, in base al livello di immersione nel gingillo elettronico) , puoi applicare all’iPhone per star sicuro di riuscire a tenere ogni imprevisto ad almeno un tiro di bastone da te.

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