tratta da 'Killing Time' | foto Tom Gaiger

(Digital) Issues | Accent Magazine

tratta da 'Liv Fontaine' | Gemma Peden
tratta da ‘Liv Fontaine’ | Gemma Peden

Il problema di chi si circonda solo di propri simili è che non rischia mai di incontrare l’altro da sé, il diverso. Ne conosco a bizzeffe di circoli, cricche, cerchie, combriccole, comitive, cosche, compagnie e congreghe che da una parte proclamano più o meno apertamente la propria diversità rispetto alla società, al sistema e poi scelgono di rifugiarsi tra altri diversi identici a loro rinchiudendosi in micro-società e micro-sistemi, rinunciando al confronto e alla scoperta.

Mi viene da sorridere quando dalle suddette cricche qualcuno mi dice «li trovi tutti tu i matti» o «come cavolo fai a ficcarti sempre in situazioni assurde con gente bizzarra?» quando racconto di simil-Bukowski pieni di briciole di brioche che mi attaccano bottone al bar e iniziano a parlare di poesia, rumeni ubriachi che mi fermano per una sigaretta e cominciano a descrivermi le loro scopate minacciando velatamente di darmele di santa ragione nel caso decidessi di andarmene prima della fine del monologo, un altissimo figuro incappucciato che mi ha regalato un ombrello coi poteri magici, di notte, fuori dalla stazione (per citare solo qualche esempio recenti).

Negli anni ho concluso che essere una calamita di gente assurda è una qualità preziosa. Tiene lontana la noia, ti regala tanto materiale per scrivere e raccontare. E ho capito che si diventa calamita seguendo poco la ragione e imparando piuttosto a buttarsi nelle braccia del qui e ora per vedere che succede, il che fa di te automaticamente uno dei personaggi assurdi di cui sopra. E il cerchio si chiude: li attiri perché sei come loro e quindi questa legge dell’attrazione non è che un tentativo dell’universo, forse, di creare altre cricche con gli scarti delle cricche anche se poi l’indole del personaggio assurdo è intimamente solitaria e pur frequentando magari decine di quelle cricche se ne sta sempre un po’ fuori, inconsapevolmente alla ricerca di propri simili, in un moto perpetuo di freak erranti le cui strade si incrociano solo di tanto in tanto e non si uniscono mai perché l’uno pensa dell’altro «questo è matto».

E nella miriade di pubblicazioni che stanno uscendo, cartacee o fatte di bit, poteva non esserci un magazine di e per gente assurda? Loro le chiamano vite fuori dall’ordinario ma il concetto e lo stesso, e il magazine si chiama Accent, esce ogni tre mesi solo online e raccoglie storie di vite straordinarie accompagnate da foto o video.
La qualità è molto alta. Le storie, appunto, assurde. Di un assurdo che può sfociare nel comico o nel drammatico. E che una volta finito di “sfogliare” il magazine ti fanno venir voglia di uscire in strada, girare a caso e sperare di incontrare gente così.

tratta da 'The Colonel' | foto Charlie Brophy
tratta da ‘The Colonel’ | foto Charlie Brophy
tratta da 'Killing Time' | foto Tom Gaiger
tratta da ‘Killing Time’ | foto Tom Gaiger
tratta da 'Marjan' | foto Hannah Burton
tratta da ‘Marjan’ | foto Hannah Burton
tratta da 'Our father Paul' | foto Heather Iris Galt - Mcloughlin
tratta da ‘Our father Paul’ | foto Heather Iris Galt – Mcloughlin
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