Pitti84 | Studiopretzel SS2014

Quando parti poi non è detto che ritorni.
Magari quell’ammasso di carne e umori e peli e unghie denti e tatuaggi che è il tuo corpo su un aereo ce lo metti, gli fai fare il check-in, indossare una bella faccia rassicurante e passare ai controlli, sedere su una poltrona a cercare un’impossibile posizione comoda, persino scambiare quattro chiacchiere col vicino di posto che ha il terrore di volare e sembra un budino umidiccio mentre è intento a buttar giù pillole di valeriana che daranno al suo alito il potere di trasformare il resto del viaggio in una sorta di puzzolente sottoscala che viaggia a 830km/h sopra ad un oceano.

Ma la testa… La testa è tutta un’altra cosa. Quella mica è detto che la riporti a casa. Puoi provare a convincerla con le buone, imboccandola di rassicuranti visioni casalinghe: piatti pieni di pasta di mammà, un cuscino suo e solo suo con la confortevole buchetta su misura scavata notte dopo notte, le luci di casa, gli odori di casa, le voci di casa. O con le cattive: Ansiolin, Axoren, Buspar, Buspimen, Dalmadorm, Felison, Halcion, Ivadal, Lexotan, Lorans, Minias, Niotal, Nottem, Prazene, Roipnol, Sovipan, Stilnox, Tavor, Valium, Xanax. Con l’inganno: «vedrai che torniamo tra poche settimane» (che, vuoi far fessa la tua testa?). O con le minacce: «se non prendi l’aereo con me ti giuro che inizierò a pensare per ogni singolo minuto del resto della mia vita di far sesso con la ragazza più brutta che abbiamo mai conosciuto in vita nostra. Te la ricordi Elisabetta? Ecco, sappi che ne sono capace».

Per quanto tu possa provare, se il viaggio è stato più che bel viaggio, il viaggio, non ci sarà modo di portartela a casa, la testa. E allora tanto vale farla lavorare lì dove ha deciso di rimanere: continuare il suo trip dedicando al corpo—magari a qualche migliaio di km di distanza—il minimo sindacale, e godersi l’immersione totale in quell’altro da sé di cui si è perdutamente innamorata.

Emiliano Laszlo, per l’ultima collezione del suo marchio Studiopretzel, ha fatto così. Ha lasciato la testa in Giappone e lei è rimasta là a lavorare, scattando foto e trasformandole in ricordi e i ricordi in linee e volumi, texture e di nuovo immagini, da spedire telepaticamente ad Emiliano che da Firenze eseguiva, rielaborava, col piglio calmo ma al contempo furioso di chi è in attesa e ricorda. E quelle suggestioni le faceva diventare gilet e pantaloni, giacche e camicie, come al solito lavorando con i laboratori della zona e usando tessuti del territorio.

Una collezione, la sua, formalmente a km0 ma idealmente a km9770.134 (la distanza tra Firenze e Tokyo), disegnata con l’inchiostro della nostalgia, ri-pensando alle luci di Tokyo, la notte, al mare e ai suoni alieni di un Paese che stai scoprendo. E al sole del mattino, che certe volte sembra di stare su tutto un altro pianeta.

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