Sound Drop

Un tizio, dal suo monolocale di Milano, carica la sua traccia di synth. Da un loft di Williamsburg un barbuto hipster newyorkese aggiunge un riff suonato con la sua chitarra vintage. Un metallaro giapponese pensa alla batteria. Poi arrivano un brasiliano, un catanese, uno di Reykjavík… E quella che avrebbe potuto essere una canzone scritta dal classico gruppetto di amici nell’ancor più classico scantinato—magari abortita causa mancanza di idee—diventa un insieme di frammenti che potenzialmente potrebbero andare a far parte di un numero enorme di pezzi diversi, a loro volta in infinite possibili versioni.

Il suono, dopotutto, è sì un’onda, una vibrazione, ma anche un’informazione. Che in forma di bit può partire ed arrivare da ovunque ed ovunque ci sia un apparecchio per produrre o leggere quel bit. E se in rete, in tempi di user generated content, di social writing, di scrittura industriale collettiva (SIC) ed open film non si contano gli esempi di arte partecipativa (anche se a questo punto credo sia necessario distinguere bene cosa possa essere definito arte partecipativa da cosa invece non lo è, e per questo rimando ad un bell’articolo di Julia Draganovic su Art Tribune) creata unendo persone da ogni parte del mondo, che non si sono mai incontrate tra loro e che forse mai si incontreranno. E tutto questo si può fare anche con la musica. Anzi, già si fa. Dai mash-up ai remix, da SoundCloud alle tracce open source rilasciate sotto Creative Commons da utilizzare come si vuole.

Un progetto come Sound Drop, dunque, non è certo una novità. Anche perché l’arte che prevede la partecipazione del pubblico nel processo creativo affonda le sue radici ben oltre il web 2.0, la net-art o, ancora prima, l’arte cinetica ed arriva fin ai primi prodotti artistici mai realizzati nella storia dell’uomo, quell’arte tribale—sia essa musica, pittura, scultura—possibile solo col coinvolgimento di tutto un micro-gruppo sociale nella realizzazione di un manufatto o di un ritmo, quasi sempre a scopo religioso.

Sound Drop però—creato da due giovani texani e sbarcato da pochissimi giorni su Kickstarter per cercare finanziamenti attraverso il crowd-funding—prova a puntare più in alto e a diventare la prima piattaforma organizzata e di respiro globale attraverso la quale creare musica davvero collaborativa, ampliando alle camere da letto e agli scantinati di tutto il pianeta lo stesso processo seguito negli ultimi anni da tantissime giovani band coi vari membri dislocati in città diverse per lavoro/studio/amore: uno carica una traccia, l’altro la modifica e la rimanda indietro, un’altro ancora ci aggiunge la sua. E così via, in un ritorno alle origini stesse della musica, quando in un deserto, in una grotta o in una verde pianura accanto al fiume un gruppo di ominidi si raggruppavano per sbattere i loro primitivi strumenti, ciascuno portando il proprio ritmo, ciascuno adeguandolo a quello degli altri, creando così un flusso inedito, fatto di tante singole parti: un’idea collettiva senza padrone alcuno.

Un messaggio

Frizzifrizzi è sempre stato e sempre rimarrà gratuito. Si tratta di un progetto realizzato ogni giorno con amore e con impegno. La volontà è di continuare a farlo cercando di tenere al minimo la pubblicità. Per questo ti chiediamo una mano — se vorrai — con una piccola donazione. Potrai farla su PayPal.

GRAZIE DI CUORE.