The Sign Painters

Oggi è quasi tutto realizzato a livello industriale, con computer, programmi di grafica e macchinari più o meno costosi e complicati. Ma un tempo, esattamente come le locandine dei film, le insegne dei negozi erano fatte a mano: scritte, simboli, disegni, numeri di telefono erano affidati ad abili artisti dalla mano ferma, dalla tecnica perfetta e dallo stile impeccabile.
La convulsa rincorsa alla riduzione dei costi (…a qualunque costo), alla riproducibilità senza limiti e soprattutto la diseducazione del pubblico — a causa dei media di largo consumo — al buon gusto grafico ha fatto sì che l’arte del pittore di insegne scomparisse quasi del tutto, relegata in piccol(issim)e nicchie.

Nonostante ciò, nuove leve di giovani artisti si sono avvicinate a questo mondo, finendo spesso per collaborare con marchi commerciali alla ricerca di un’immagine unica per il lancio di un prodotto o di una collezione, nonché con negozianti particolarmente illuminati o desiderosi di trovare un modo originale per decorare la propria bottega o per farsi pubblicità.
Malgrado il recente revival, a livello mondiale, per tutto ciò che è unico, artigianale, fatto a mano, i pittori di insegne rimangono comunque una rarità, né più né meno dei lustrascarpe o degli strilloni dei giornali agli angoli delle strade.

E come per tutte le nicchie o le rarità, prima o poi arriva un film-maker a farci un documentario. In questo caso ben due — Faythe Levine e Sam Macon — che sull’argomento hanno realizzato un libro e un film che portano lo stesso titolo: The Sign Painters.
Del libro, uscito lo scorso ottobre per Princeton Architectural Press, puoi sfogliare un estratto più in basso mentre il film — qua sotto il trailer — è stato autoprodotto dai due e verrà presentato a fine mese. E chissà (domanda retorica) sei cartelloni del film saranno fatti a mano?

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