Brif, bruf, braf. Ovvero: Buone Feste da Frizzifrizzi

È la vigilia, oggi, di un Natale che più di altri avrà il sapore del futuro. Un futuro, però, del quale non riusciamo ancora a percepire distintamente gli ingredienti. Persi tra le mille ipotesi di esperti ed analisti di ogni disciplina — dall’economia alla statistica, dalla sociologia alla controinformazione — facciamo una gran fatica ad orientarci tra consigli travestiti da soluzioni, strategie di auto-conservazione spacciate per programmi, buon senso corrotto dall’interesse (a più livelli, da quello piccolo piccolo, personale, a quello di un’intera Nazione a svantaggio di un’altra, o della società dei consumi a scapito della morale, della privacy, della libertà di pensiero).

Tendiamo a non saper più distinguere tra l’efficienza e la precisione di un passacarte capace di applicare un piano (chiamalo pure agenda, se ti pare) voluto dall’alto e l’abilità, che è invece esclusiva del visionario, di saper guardare oltre il raggio d’azione del presente per raccontarci come potrebbe essere quel futuro, cosa dovremmo fare tutti per dare al domani, un domani a lungo termine, un sapore di nuovo ma di accogliente: non quello metallico del silicio, o peggio del sangue; non quello impalpabile del denaro virtuale che abbatte sì le frontiere geografiche ma che ne alza di insormontabili tra la neo-nobiltà del potere economico e la vecchia classe media che scivola verso la condizione di sottoproletariato, il più acculturato della storia, con un iPhone in mano e una laurea nel cassetto ma senza effettive opportunità di scalata sociale.

C’è una storia, in uno dei libri più belli che potrai mai farti il favore di leggere (qualunque sia la tua età, perché ad ogni fase della vita troverai una chiave d’accesso differente) — parlo di Favole al telefono di Gianni Rodari, illustrato da quel genio della semplicità che è stato Bruno Munari — una storia che si intitola Brif, bruf, braf e prende il nome dai versi di due bambini che “nella pace del cortile, giocavano a inventare una lingua speciale per parlare tra loro senza far capire nulla agli altri”.

I due, intenti a giocare, non si accorgono neanche che a guardarli ci sono un vecchio buon signore e una vecchia signora “né buona né cattiva”.
La signora è stizzita per le stupidaggini dei ragazzini e al contempo incattivita dal fatto di esser lasciata fuori dal gioco dal giocoso linguaggio in codice dei due, quindi di fatto impossibilitata a farsi gli affari altrui.

Il “vecchio buon signore” invece è divertito dai versi — Braf, brof! Maraschi, barabaschi, pippirimoschi! — e quando viene direttamente coinvolto dalla signora, che gli chiede esplicitamente di dire la sua sui due monelli, lui in tutta tranquillità traduce: “Il primo ha detto: che bella giornata. Il secondo ha risposto: domani sarà ancora più bello”.

Non sappiamo se il vecchio buon signore capisca davvero i brif e i braf. Non è davvero importante saperlo. Anzi, il succo della storia sta anche in quest’ambiguità. Ma sta soprattutto nel messaggio che neanche troppo tra le righe Rodari consegna a noi che una volta passata la fanciullezza tendiamo, anno dopo anno, a conformarci e a perdere ogni giorno di più un pezzetto della nostra capacità di sognare.

La signora — né buona né cattiva, scrive Rodari, con la sua solita capacità nel riassumere un tipo umano, con tutta la sua complessità, in poche righe e con un pugno di aggettivi — semplicemente non sa più sognare e si permette di giudicare, inacidita ed indignata, ciò che sa di non riuscire a comprendere.

Il vecchio buon signore, che ho sempre immaginato vestito con una giacca marrone e la camicia gialla, i baffi grigi, gli occhiali un po’ abbassati sugli occhi socchiusi in un’espressione gioviale; lui, di cui non sappiamo nulla tranne che è vecchio, è affacciato a una finestra ed ha una vicina di casa identica a milioni di vicine di casa, è uno che riesce ancora a sognare.
E alla vecchia che gli chiede arcigna se il domani sarà davvero migliore — come il signore ha tradotto o finto di tradurre l’ultimo scambio di brif e bruf dei bambini — lui risponde nell’unico modo sensato: “Brif, bruf, braf”.

Che Natale sarà questo e ancor di più il prossimo, dunque? La risposta l’ha già data quel gran sognatore che era Rodari. Sta a noi saperla leggere e fare in modo di non dimenticarci quel che ci ronzava in testa quand’eravamo dei piccoli e stupidi — ma autenticamente visionari —ragazzini.
Buon Natale.
Anzi! Brif, bruf, braf.

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