Pitti82 | YOUfootwear

Vado sempre fiero dei marchi dei quali posso vantarmi di esser stato tra i primi a parlarne e YOUfootwear è tra questi.
“Intercettato” giusto un anno fa, sempre al Pitti, in occasione del loro esordio, tra me e le creazioni del fashion designer israeliano Alon Siman Tov e del visual designer Max Bosio è stato amore a prima vista. Anche per quanto riguarda il logo, quella ypsilon a mo’ di imbuto dove – interpretazione mia – puoi mettere dentro l’intero universo (YOU è appunto l’acronimo di Your Own Universe) ma alla fine, dall’altra parte, esci tu.
Inviato per
Frizzifrizzi e per il Grand Tour di Mumm Code chiedo ad Alon di raccontarmi la primavera/estate di YOUfootwear.

Vi ho consciuto durante l’edizione numero 80 di Pitti, dunque esattamente un anno fa.

Sì per YOUfootwear è la terza stagione. Abbiamo iniziato con la SS2012 e proprio in questi giorni stiamo consegnando l’invernale nei negozi.
Diciamo che la “vera avventura” sta iniziando adesso.

In un solo anno c’è stata un’evoluzione incredibile, sia per quanto riguarda la quantità che la qualità. Siete partiti con pochi pezzi molto basici e la collezione che presentate qui a Firenze, la SS2013, è davvero ricca e [non la smetto di toccare ogni esemplare, attratto soprattutto dalla texture del modello in pelle di salmone] curatissima nei dettagli.

Il marchio ha esordito seguendo un’estetica molto minimale poi ci siamo pian piano resi conto che la semplicità, abbinata a tantissimo impegno stilistico, per noi era molto faticosa.

Tanto sforzo per un risultato (a mio parere ottimo) che poi però rischiava di passare inosservato perché non strizzava l’occhio e non urlava.

Il pubblico – parlo soprattutto dei buyer – voleva vedere più impegno, più “ricchezza”. Tutti ci hanno detto che la prima collezione era “per addetti ai lavori”.
Quindi ci siamo rimboccati le maniche proprio per lavorare su questo aspetto. E penso che ci siamo riusciti.
Io ho lavorato con Romeo Gigli, ho lavorato con Cavalli…
La ricerca della materia, l’elaborazione del ricamo è proprio il mio pane, fa pure parte del mio DNA visto che già mia madre faceva ricami tipici beduini.

Un mondo diametralmente opposto a quello del tuo socio…

Sì, Max viene dalla comunicazione, dall’architettura, da un mondo molto più “netto”. Mi piace il nostro connubio. Per me è molto facile lavorare insieme a lui.

Parlami della collezione.

Alla base di ogni modello c’è il comfort, la comodità. Abbiamo inserito una sorta di sottopiede all’interno per evitare il sudore e dare libertà al piede.
La forma della scarpa è fondamentalmente la stessa: abbiamo tenuto i modelli invernali ed abbiamo sviluppato una “pseudo-barca” ed una “pseudo-running”. Dico “pseudo” perché non sono scarpe tecniche, da performance.

Però la linea arriva da lì.

Esatto. Poi abbiamo sviluppato una suola realizzata con polvere di sughero riciclato, abbinata alle suole Ecostep Vibram, realizzate con gomme anch’esse riciclate.
Le scarpe poi sono realizzati con vari materiali, naturali e senza cromo: tessuti di canapa, cotone 100%, oltre a tessuti recuperati da vecchi materassi militari ed uniformi americane per quanto riguarda i modelli camo.

Vedo pure un’ispirazione giapponese.

Dopo il nostro ultimo viaggio in Giappone ci è venuta voglia di “indigo”, di teli antichi giapponesi, i “boro”, sorta di patchwork realizzati con piccoli pezzi di tessuto.
Ci siamo portati a casa un po’ di tessuti, li abbiamo rilavati e mescolati insieme.

Parlami dei modelli in pelle di salmone.

Si tratta di una lavorazione che si chiama “Nanai”. L’abbiamo scovata in Germania anche se in realtà arriva dalla Siberia, dove conciano in maniera completamente naturale la pelle di salmone come si faceva nei tempi antichi.

Torniamo a quando mi hai raccontato poco fa. Al fatto che hai lavorato da Cavalli e Romeo Gigli.

In realtà ho iniziato con Enrico Coveri, nel ’90.
Ho praticamente sempre lavorato sul tessile e sull’abbigliamento.
Da Cavalli a fine anni ’90 mi sono occupato della prima collezione uomo. In quegli anni il marchio era un po’ meno… [sorride, n.d.r.] Anzi era un po’ più rock’n’roll. Tutto in pelle e pelliccia. Gran lavorazioni. Stampe sul montone. I vestiti che facevo io li portava Lenny Kravitz.
Poi sono passato a lavorare con Romeo Gigli, che è stato il “colpo finale”, in senso buono. Inizialmente seguivo l’abbigliamento poi sono passato ad occuparmi degli accessori: la ricerca dei materiali, le lavorazioni, i tagli al laser. Con Romeo ho lavorato tanti anni. Lì ho imparato la sensibilità per gli accostamenti, per mettere insieme le cose con armonia.

Tutte lezioni che poi hai usato e stai usando per YOUfootwear.

Io insegno anche allo IED ma continuo a dire che studio, nonostante sia quasi in età da pensione [non lo è, n.d.r.].
Nella vita non si finisce mai di imparare e di fare ricerca. Cercando di fare sempre meglio, magari provando pure a creare prodotti per il largo consumo e non mirare soltanto al cliente ricco e raffinato.
Cercando inoltre di fare sempre made in Italy, nonostante l’enorme difficoltà.

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