The book is on the table | Come diventare se stessi

Come diventare se stessi
David Foster Wallace si racconta
di David Lipsky
Minimum Fax 2011

Come spiega David Lipsky, giornalista di Rolling Stone incaricato di intervistare l’ultimo, grande fenomeno di culto della letteratura americana – David Foster Wallace – l’indomani del fulminante successo del suo capolavoro Infinite Jest, se le opere dello scrittore morto suicida poco più di tre anni fa fossero un DVD, questa lunga intervista, frutto di cinque giorni passati on the road con DFW, sarebbe il “contenuto speciale”, di quelli che con le freccine del telecomando vai a vederti alla fine, rilassandoti, dopo un mattone da più di mille pagine che ti ha preso e rivoltato come un calzino, sbattendoti in faccia i milioni di motivi per cui sei inadeguato, diventando un nuovo punto 0 nella tua vita e scavando una fossa in cui buttare tutto quel che c’era prima, tutto ciò semplicemente trasformando in parole l’attività chimica del tuo cervello.

Se lo scopo della letteratura è farti sentire meno solo il David Foster Wallace che hai conosciuto o che conoscerai attraverso i suoi libri è o diventerà quell’amico malinconico ed iperintelligente, quello dalla battuta pronta che ha davvero qualcosa da dirti quando ti prende in disparte dopo l’ennesima cazzata che hai fatto, quello che raccontandoti una storia sta in realtà prendendoti a cazzotti come nessuno ha fatto prima di allora, urlando sveglia! sveglia!; quello che vorresti avere sempre lì quand’è il momento, ma di cui poi devi fare a meno perché ad un certo punto, lui che non ce l’aveva uno come lui a tirarlo su, ha deciso di chiuderla lì, e non ti rimane che il ricordo, la sensazione di “ultima seduta dallo psicologo” – la bizzarra sensazione di cuore spezzato quando lo strizzacervelli ti dice che ormai non hai più bisogno, che d’ora in poi potrai fare da solo – da andarti a cercare in mezzo a pagine già lette, prima di trovare in libreria questo Come diventare se stessi e divorarlo affidandogli l’ultimo ritratto di un amico che non c’è più, raccontato però da un estraneo – Lipsky – che non ti pare però all’altezza di farlo semplicemente perché non sei tu lì con lui, in macchina o in aereo, sulla sua tavoletta del cesso di casa sua, a fargli mille domande, mille altre domande, mentre lui si racconta, frammentato come una registrazione, prezioso come l’ultimo messaggio lasciato in segreteria da una voce che non ascolterai mai più, che trova il tempo di lasciarti un serie di consigli indispensabili, sullo scrivere e soprattutto sul vivere: lavorare, lavorare tanto e con fatica per tentare, alla fine, di diventare né più né meno che se stessi.

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