The book is on the table | Favole al telefono

Favole al telefono
di Gianni Rodari
disegni di Bruno Munari
Einaudi 2007 | amazon

Ognuno ha quel libro, quello da cui è partito tutto, quello che per la prima volta ha dato un bel calcione a quella pigrona della fantasia e l’ha mandata su, su, tra le nuvole, e lei è ancora lí che vola e non vuol proprio saperne di scender giù.
Quando gli chiedi qual è quel libro, qualcuno ti dirà Il Piccolo Principe e allora ti scapperà uno sghignazzo. Non lo nominano forse tutti quelli che in effetti non hanno letto nient’altro (e a volte neppure quello)? Il più nominato nelle interviste delle celebrities, che il corpo di Antoine de Saint-Exupéry, abbattutto in volo nel ’44 e mai ritrovato bisognerebbe cercarlo tenendo le orecchie ben tese, ad ascoltare il rumore dell’autore francese che si rivolta nella tomba ogni volta che un cretino nomina il suo libro.
Gli anglofili, che vogliono fare sempre quelli un po’ speciali, gli alternativi, loro citano Roald Dahl, con le sue storie dall’humor un po’inquietante e taglienti come rasoi.
E lasciamo stare quelli che dicono “La Bibbia”. Ché non c’è davvero bisogno di essere così politically correct da ascoltare tutti e se la tua fantasia ha preso per la prima volta il largo con la Bibbia è probabile che tu sia un malato di mente che ha imboccato già sa tempo la strada dell’insanità appiccando roghi sui quali sacrificare poveri insetti prima, gattini poi.

Poi ci sono quelli di Favole al telefono.
Loro li riconosci solo se ci abiti insieme e li vedi, la sera, andare a letto, chiudere gli occhi e metter su uno strano sorriso, che è come il cartello non disturbare da attaccare alla maniglia della porta dell’albergo: sono entrati nel loro mondo, se ne stanno lì a fantasticare, un rito quotidiano che perdura fin dai primi Buonanotte della mamma quand’erano bambini. Sono quelli che “non riesco a rilassarmi se non entro per un po’ nel mio mondo”.
Ecco, loro hanno Favole al telefono. E io li invidio a morte.
Perché negli anni sono riusciti a costruirsi un palcoscenico mentale dove mettere in scena, ogni notte, una perfetta via di fuga dal mondo, fedeli ad un copione che non si ripete mai uguale, complesso e minuzioso ma al contempo elastico e vaporoso come una nuvola.

Qui in casa ho uno splendido esemplare di questo tipo. Ed io, che invece sono più tipo da Io e il mondo (bellisimo, certo, ma pur sempre un’enciclopedia, e un’enciclopedia può spiegarti cos’è la libertà, ma non regalartene un pezzo bello grande, come invece fa Favole al telefono) mi sono innamorato di lei per la seconda volta dopo averla vista commuoversi, in libreria, quando ha preso in mano il volumetto, ché da bambina ne aveva un’edizione economica un po’ scassata e solo a veder la copertina le sono tornate a mente le storie che il Rag.Bianchi, sempre fuori per lavoro, raccontava al telefono a sua figlia, ma doveva esser breve il ragioniere, che le interurbane mica te le regalavano, e solo qualche volta, se quel giorno aveva guadagnato bene, poteva permettersi qualche parola in più.

Poi il libro l’abbiamo comprato e, tornati a casa, ci siamo messi a sfogliarlo: io leggevo i titoli e lei, con gli occhi lucidi, ricordava ogni storia, ce le aveva tutte disegnate in mente (è questa poi la libertà: le parole di Rodari e i disegni di Munari non ti chiudono in un mondo pre-confezionato, ché di dittatori, pure sulle pagine dei libri, ce ne son troppi). Erano quelle le fondamenta del mondo bellissimo e ingenuo che notte dopo notte è cresciuto insieme a lei e dove gioca ancora, quando vuole, a far la lotta con suo fratello, a contar starnuti, a salir su tram che escono dai binari per portarti al parco, invece che al lavoro, e ad aspettar paziente che ogni semaforo diventi blu (che allora con la macchina puoi volare, ma gli automobilisti — e i genitori — non l’hanno mai capito).

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